Eccomi tornata, ne è passato di tempo... ben tre mesi senza connessione.
Oggi riprendo in mano il mio amato blog, prestissimo tornerò anche con le recensioni e spero presto con delle novità.
Ho il piacere di riprendere l'attività con questa segnalazione. Una nuovissima Uscita per Andy Ben : Cruore. Intanto posso dire che la cover mi piace da matti!
Sinossi:
Dopo quattro anni trascorsi a Riva del Garda, Montorsi viene
richiamata a Milano. Dovrà affrontare un caso intricato e sconvolgente con la
collaborazione dell’ispettore Brezzi e di una nuova squadra investigativa. Sarà
una corsa contro il tempo scandita dal rapporto conflittuale con il
procuratore.
Riuscirà il commissario a risolvere il caso e a inchiodare
il colpevole? Chiuderà finalmente i conti col passato? Quale sarà il destino
della tormentata relazione con Carlo Scala?
Un giallo rapido, appassionante, dove nulla è come sembra e
bastano venti secondi per cambiare la sorte di una vita.
ed eccovi un estratto:
Benché frizzante,
l’aria è piacevole in questa notte di ottobre, così come la compagnia dell’uomo
che ho appena conosciuto e con cui ho tutta l’intenzione di divertirmi.
Un vento calmo
batte sulle mie gambe nude infilate in un paio di stivali di pelle che ho
comprato per sfoggiarli in occasioni come questa: il tacco mi dà l’altezza
giusta e mi trovo tremendamente sexy.
Mentre fumo la
sigaretta che il mio nuovo amico ha gentilmente offerto, ripenso a qualche
minuto fa, quando ero seduta sulle sue gambe: l’ho sentito eccitarsi sotto di
me e non ho resistito a voler provare quel brivido di piacere che mi ha dato
quando gli ho permesso di accarezzarmi sopra gli slip.
Sono eccitata e
nel contempo affascinata da quest’uomo sulla trentina, dall’aspetto ben curato
e che emana una sorta di magnetismo e di sicurezza apparente, ma in fondo così
tenero da farsi le paranoie se una ragazza “ci prova”.
Anche ora che ha
buttato la cicca per terra e potrebbe approfittarne e abbracciarmi, sono io che
ho fatto la prima mossa, mi sono avvicinata rapidamente e l’ho stretto alla
vita.
Tiro l’ultima
boccata quindi spengo la sigaretta sotto la punta degli stivali, ancheggiando
con un movimento sexy che non passa inosservato.
Una sferzata di
vento mi sorprende: «Brrr, fa freschino!» esclamo con l’intenzione di lasciare
momentaneamente l’iniziativa ad Alberto.
Questa volta non
si lascia sfuggire l’occasione cogliendo subito la palla al balzo: «Forse è
meglio andare in macchina… staremo al caldo… e saremo più comodi.»
Mentre avanziamo,
osservo la desolazione del parcheggio illuminato dai lampioni: un’accozzaglia
di auto, moto e altra ferraglia poggiata su un polveroso sterrato immerso in un
silenzio che è interrotto dal rumore dei tacchi dei miei stivali e che alla
vista risulta praticamente deserto.
Un suono
metallico, accompagnato dal lampeggìo degli indicatori di direzione, mi fa
sussultare mentre passiamo in prossimità di due utilitarie. È la BMW una fila
più avanti a noi che ha dato segni di vita.
«Ti sei
spaventata?»
«Sorpresa più che
spaventata… e così questa sarebbe la tua macchina?»
L’elegante
berlina color nero pece, lucida e ben illuminata dalla luce artificiale del
parcheggio, si nota immediatamente in mezzo alle automobili, decisamente più
modeste, che la circondano.
Sciolgo l’abbraccio
e comincio a girare intorno alla vettura, osservando la perfezione delle cure
alle quali è evidentemente sottoposta ogni giorno e cercando di mettermi in
mostra il più possibile nel tentativo di vincere l’assurda sfida che quella
bellezza sembra avermi lanciato.
«Te ne intendi?»
«Fendinebbia,
alogeni… cerchi in lega… vetri oscurati… allestimento sportivo… mmm… sì, un
pochino… adoro le belle macchine.»
«Per me è solo
una macchina… forse un po’ costosa, ma pur sempre solo una macchina.»
«“Un po’ costosa”
dici? Se è full-optional, come credo, sarà intorno ai settantamila euro.»
Alberto
timidamente tentenna quasi volesse nascondere la vergogna per aver ostentato la
propria vettura: «È possibile, ma non ci bado… e se è full-optional lo puoi
constatare di persona» e così dicendo apre la portiera del guidatore e mi
invita ad accomodarmi.
In questo esatto
momento ho deciso che la sua timidezza mi piace proprio e anche che è il
momento di riprendere il comando della situazione: «Non vorrei contraddirti, ma
credo che saremmo più comodi dietro.»
Spalanco una
delle portiere posteriori e mi infilo in macchina.
Non richiudo la
portiera lanciando in tal modo un messaggio evidente al mio amico che non si fa
pregare e anzi azzarda una battuta: «Posso accomodarmi?»
Gli sorrido.
Apprezzo gli uomini spiritosi, ma non posso fare a meno di avere l’ultima
parola: «L’auto è tua» gli dico, «e poi non sarebbe carino lasciarmi qui, tutta
sola.»
Alla mia
risposta, Alberto abbandona ogni esitazione e mi segue sul sedile della berlina.
Cerca di prendere
l’iniziativa, provando a baciarmi, ma lo respingo tenendolo a debita distanza;
sono io che devo condurre il gioco e non vorrei che si spingesse oltre i limiti
che impongo per quelli che considero primi appuntamenti.
Non fa in tempo a
dispiacersi perché subito mi getto con intenzione tra le sue braccia non senza
aver messo le cose in chiaro: «Comando io!» gli dico, sfoggiando il sorriso più
malizioso e complice che mi riesce.
Alberto si
arrende e gli compare un’espressione di compiacimento sul viso.
Lo bacio e
assaggio il sapore di tabacco e alcol della sua bocca intanto, lentamente, gli
sbottono la camicia.
Mentre lo
accarezzo, in qualche modo, riesce a sfilarsi la giacca quindi si mette comodo,
appoggiandosi completamente sullo schienale e sospirando in cerca di un relax a
cui non acconsentirò: non crederai di divertirti solo tu?
Gli sollevo la
canotta e il mio tocco, salendo dagli addominali, va in cerca del suo petto.
Sento la sua
pelle fremere sotto le mie dita, ma è solo un attimo, perché interrompo le
carezze e gli faccio intendere che deve giocare anche lui. Prendo la sua mano e
me l’appoggio sul seno, poi smetto di baciarlo e guardandolo lo invito:
«Delicatamente!»
Alzo la
maglietta. Non servono altre spiegazioni.
Sfila subito una
spallina del reggiseno e comincia a toccarmi mandandomi su di giri. La sua mano
è dolce ed esperta e non ha bisogno del mio aiuto: riprendo a baciarlo e a
carezzargli il petto.
Ora mi abbraccia
e con entrambe le mani cerca di sganciarmi il reggiseno: lo fa con goffaggine,
come quasi tutti gli uomini, ma al terzo tentativo ci riesce, scoprendo la mia
pelle.
Mi stacco dalla
sua bocca e inizio a baciargli il petto. Faccio scorrere su di lui le labbra e
la lingua e, quando le sue dita si soffermano troppo sui miei capezzoli, lo
mordicchio provocandogli dolore ed eccitazione allo stesso tempo.
Giunta agli
addominali mi fermo a stuzzicare il suo ombelico mentre con la mano inizio a
disegnare piccoli cerchi che scendono verso i suoi pantaloni.
Come telecomandato
anche lui gioca allo stesso modo col mio corpo.
Le dita giungono
al bordo dei pantaloni.
Abbandona il seno
per infilare la mano sotto la mini e carezzarmi le cosce.
Ora scendo e
accarezzo la zip dei pantaloni.
Senza indugi
arriva all’elastico degli slip e inizia a solleticarne il bordo.
Sono sempre più
eccitata. Gli slaccio la cintura.
La sua mano calda
oltrepassa la stoffa del mio intimo.
Abbasso la
chiusura lampo. Sto perdendo il controllo.
Lo libero dai
boxer e lo tocco.
Le sue carezze
audaci mi fanno quasi gemere.
L’altra mano si
appoggia alla mia guancia e mi carezza, poi si sposta sui capelli e infine
sulla nuca.
No, che cazzo
stai facendo? Ci stavamo divertendo, perché vuoi forzare la mano?
Cerco di
svicolarmi dalla sua presa scuotendo la testa, ma lui prosegue e cerca di
spingermi verso il basso.
«Non voglio» gli
sussurro, ma nulla.
«No!»
La sua mano non
accenna a smettere di spingere.
«Ho detto no!»
grido.
Lui ci riprova:
«… e dai…»
Raccolgo tutta la
forza che ho, mi divincolo e comincio a sbraitare: «Cazzo, ti ho detto che non
voglio! Ma per chi cazzo mi hai preso?»
«Scusa
pensavo...»
«A cosa cazzo
pensavi? Ci conosciamo da cinque minuti e pretendi che ti faccia un pompino? Ma
vaffanculo!»
Mentre gli
impreco contro cerco di sistemarmi alla meglio, mi aggiusto il reggiseno e gli
slip, mi abbasso la maglietta.
«Sei solo uno
stronzo come tutti gli altri. Una fa la carina e subito pensate di portarvela a
letto… neanche, volevi scoparmi in macchina… stronzo!»
Cerco con rabbia
di aprire la portiera della macchina per scappare e lo sento balbettare qualche
sorta di scusa mentre cerca di trattenermi, ma sono talmente incazzata da non
prestare attenzione.
Al terzo
tentativo finalmente afferro la maniglia e apro la porta.
Scivolo fuori
dall’auto come un animale ferito, non nel fisico, ma sicuramente nell’animo.
Con tutta la
furia che posso, richiudo la portiera sbattendogliela in faccia, stroncando il
suo tentativo di fermarmi e riportarmi alla ragione.
Prendo un po’ di
distanza dalla macchina, dopo mi volto e ancora gli urlo contro: «Testa di
cazzo! Vaffanculo!»
L’eco delle mie
parole si diffonde nel parcheggio e si perde nei campi intorno al locale.
Con passo deciso
mi allontano dal veicolo in direzione del motorino, posteggiato al lato opposto
dell’area di sosta, una passeggiata di un centinaio di metri.
Rallento.
Il cuore torna
lentamente a battere in modo regolare.
L’adrenalina
scende.
La rabbia si
trasforma lentamente in frustrazione.
Ho una gran
voglia di piangere, ma non lo farò di certo per uno stronzo di quel genere.
Magari è colpa
mia…
Magari il mio
atteggiamento…
Magari l’ho
stuzzicato troppo…
Magari…
No! No!
Vaffanculo.
Anche se l’ho
stuzzicato nessuno gli ha dato il diritto di trattarmi come una puttana.
Vaffanculo lui e
la sua fottuta macchina.
Volevo solo
divertirmi un po’, e guarda che fine di merda ha fatto la serata.
Forse dovrei
tornare indietro…
Forse dovremmo
spiegarci…
Mi sembrava così…
No! È solo uno
stronzo!
Continuo a
camminare fino in prossimità del motorino quindi, a pochi metri dal traguardo,
infilo una mano nella borsetta alla ricerca delle chiavi.
Mi fermo un
attimo a riflettere.
No, non voglio
rientrare nel locale.
Gli ho pure
mentito: non c’è nessuno che mi aspetta lì dentro.
La serata ormai è
rovinata.
Meglio tornare a
casa.
Una fitta
intensissima alla nuca.
Appoggio una mano
sulla testa e la sento bagnarsi.
Mi guardo la
mano… è… sangue!
La vista si
annebbia.
Mi volto e vedo
l’ombra di qualcuno.
Perdo
l’equilibrio.
Cado.
Non capisco più
nulla.
L’ultima cosa che
sento è: «Ora avrai quello che ti meriti, troia!»
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