venerdì 26 dicembre 2014

jonas capitolo 3

Inizia la terapia



“Hai davvero una pessima cera amico!” Il poliziotto lo fissava immobile, braccia conserte e sguardo beffardo.
Jonas si massaggiò le tempie e lo guardò ancora, perché non lo lasciavano in pace? “Fottiti” ringhiò cercando di strapparsi di dosso le mani sintetiche, che gli provocavano un forte ribrezzo.
“Non hai perso il tuo caratteraccio vedo” sorrise l’uomo baffuto, senza scomporsi. “Dottoressa Savini come sta? Ho saputo che fatica a far ragionare questa testa calda”
“Sto bene, porti i miei saluti a Martha”
L’uomo annuì sorridendo. Jonas scosse il capo, possibile che tutti sembravano conoscere tutti lì dentro, mentre lui continuava a rimanere nell’oblio? S’innervosì ancora di più.
“Nathan sta bene, fisicamente si è ripreso alla perfezione, è pronto per l’impianto. Solo, come le avranno detto, ha subito danni alla memoria a lungo termine” rispose la dottoressa e Jonas sentì accapponarsi la pelle a sentirsi chiamare per nome da lei, la fissò cercando di catturare un ricordo, che continuava a sfuggirgli.
“Maledizione!” si lasciò sfuggire il poliziotto “Speravo fossero pettegolezzi. E il chip?”
“Ne parliamo dopo con calma, ora è meglio che il detective inizi le cure”
“Amico, sai chi sono io? E lei?” Si era avvicinato al letto bisbigliando le parole, per non farsi udire dalla dottoressa.
“Crepa! Non sono amico tuo, né di quella lì, certo che lo so chi è: una fottuta dottoressa che vuole mettermi delle gambe meccaniche” alzò la voce, di nuovo furioso: “Sai dove puoi mettertele le gambe di ferro? Lo vuoi sapere? Se vuoi ti aiuto io!” gridò al di là della spalla dell’uomo, rivolto alla dottoressa.
L’uomo scosse il capo, poi puntò uno sguardo desolato in quello della donna, che lo sostenne come poteva, gli occhi lucidi di pianto. ‘Bella professionalità’ pensò disgustato.
“Ed ora fuori tutti, voglio dormire, toglietemi di dosso questi affari, il puzzo dei loro ingranaggi mi dà il voltastomaco!”
D’improvviso la dottoressa si riscosse, corrucciò lo sguardo, si avvicinò al paziente e gli afferrò il braccio bruscamente: “Ora tu vieni con me a fare i test, con le buone o con le cattive. Dovrai stare ancora a lungo qui dentro, vuoi che renda la tua permanenza un inferno? Oppure vuoi stare tranquillo, con un’infermiera umana a disposizione e trattamento di riguardo?”
Jonas la fissò, ancora una volta sentì smuovere qualcosa dentro alla vista di quegli occhi, la studiò alla ricerca della fregatura nascosta, lei sosteneva lo sguardo, sembrava decisa. Sospirò abbassando le spalle, arrendendosi:
“Ok, ok, facciamo questi dannati test in fretta”
Un lampo negli occhi scuri della donna gli fece venir voglia di ritrattare, ma ormai lo avevano spostato in una lettiga e già fluttuava nei corridoi. Si voltò indietro e vide che ancora l’uomo non lo mollava: lo seguiva parlando fitto, fitto con la Savini.
…………….
“Ancora una volta detective, sta andando benissimo” la voce stanca della dottoressa ripeteva per l’ennesima volta gli stessi incoraggiamenti.
Il poliziotto si era preso la testa tra le mani, stanco e frustrato quanto lui.
La dottoressa azionò il macchinario, i sensori sul capo s’illuminarono, la visiera si abbassò sul suo volto.
Il flusso scomposto d’immagini iniziò a comporsi nella sua mente. Ancora il volto scuro di un uomo, che moriva tra le sue braccia, ancora gli occhi scuri della dottoressa, il suo sorriso, le sue mani dalle dita affusolate e le unghie curate. Poi caldo, luce abbagliante, dolore lancinante e rumore di passi numerosi accanto alle sue orecchie, molti passi pesanti che gli passavano intorno senza rallentare. Il dolore aumentò esplodendogli nel cranio. Vide una casa, un mobile bar, tante bottiglie aperte, gambe di donna, nude sul divano, scarpe rosse buttate sul tappeto, il tacco vertiginoso attirò la sua attenzione. Poi buio improvviso, puzza di bruciato, gocciolio di tubature, ancora e ancora a martellare la sua mente devastata.
“Basta, ahhh” gridò ancora, non sostenendo più quella tortura, si strappò dalla testa i cavi. Un bip bip iniziò a suonare, mentre la dottoressa, con un sorriso stentato, si avvicinava ad aiutarlo a rimuovere l’apparecchiatura.
Il poliziotto fissava un monitor, si riscosse e batté il pugno sul tavolo: “Maledizione, sempre le stesse scene, è tutto perso, fottuto, volatilizzato!” si alzò.
“È solo l’inizio, ora iniziamo la terapia farmacologica, aiuterà e faremo sessioni qui giornalmente”
“N-non farò proprio un cazzo, voglio dormire!” si lamentò debolmente Jonas.
“Oh sì che lo farai, prenderai tutte le maledette medicine e farai gli esercizi, verrò ad accertarmene tutti i giorni! è ora che ti svegli Nathan, è in ballo la vita di”
“Ha detto abbastanza!” interruppe la dottoressa alzandosi bruscamente “Eravamo d’accordo: niente imbocchi, niente aiuti, possono solo nuocere” mentre parlava lo condusse fuori poggiando entrambe le mani sui suoi avambracci. L’omone si fece guidare senza lamentarsi, visibilmente abbattuto. Jonas fissò l’immagine bloccata sullo schermo per la prima volta sforzandosi seriamente di ricordare.
Vi ho dato parecchi spunti, qualche informazione deve venir fuori. Volete sapere
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martedì 23 dicembre 2014

Scusate la latitanza degli ultimi giorni e... di quelli a venire: broncopolmonite tutte e due le mie bimbe :-(  
Se non riuscissi a collegarmi auguro a tutti quelli che mi han seguito fin qui un sereno e felice Natale ! 

mercoledì 17 dicembre 2014

stralci di Phoenix...

.....Rientrò alle 22:00, esausta, inciampò in qualcosa prima di riuscire ad accendere la luce, era una bicicletta? Si chiese distrattamente cosa ci facesse in casa, i piatti erano ancora nel lavello dall’ora di colazione e anche il resto dell’abitazione sembrava un disastro. Lei odiava le faccende domestiche, questo era sempre stato motivo di litigio con Dylan, che era il tipo d’uomo che si alzava da tavola e si andava a sdraiare davanti alla TV, chiedendole anche di portargli una birra ghiacciata. Si era chiesta spesso cosa ci facesse con lui, la verità era che era diverso prima, o forse recitava. Parecchio tempo addietro aveva promesso di sposarla, ma non era mai accaduto, Leila non aveva mai insistito, d’altronde anche lei aveva sempre recitato la parte della donna le cui uniche aspettative erano accontentare il suo uomo ed avere una bella casa, un bel giardino e dei bei figli. Ma ben presto aveva capito, a sue spese, che non si può recitare per sempre, i problemi erano arrivati: lei non era la fidanzatina perfetta e lui il fidanzato premuroso, alla fine dei conti non era poi troppo sorpresa che l’avesse tradita, il loro rapporto era un vero disastro. Ora voleva solo andare avanti con la propria vita, certo, prima avrebbe dovuto organizzarsi meglio, pensò gettando uno sguardo disperato a quel gran caos che era la sua casa. ..

domenica 14 dicembre 2014

Jonas. secondo capitolo


Secondo risveglio

Ancora un risveglio, niente dolore stavolta, solo il tepore delle coperte e un amaro in bocca da far venir voglia di sputare. Imprecò mentalmente, ancor prima di aprire gli occhi: quell’odore di disinfettante e il ticchettio dei macchinari del moribondo accanto a sé, gli dissero senz’ombra di dubbio dov’era.
Cercò di issarsi facendo forza sulle mani, ma crollò sul materasso sentendosi un perfetto idiota.
“Infermiera!!” gracchiò, mentre un senso di panico l’attanagliava.
“Il bottoncino sull’anello amico e… smetti di urlare” sussurrò l’uomo accanto a lui.
Guardò l’anello di gomma soffice, poi gettò uno sguardo storto all’uomo. Era un nero di mezza età, occhi gonfi, stretti in piccole fessure, macchie candide sui zigomi ossuti. Non aveva un bell’aspetto, sperò non fosse contagioso. Per un attimo l’immagine di un altro uomo di colore, col capo fracassato poggiato sul suo petto, lo colpì facendolo trasalire.
“Chiudi quella fogna” ribatté scacciando il pensiero. Cliccò sull’anello, ma ugualmente strillò: “Infermiera!”
Un droide arrivò all’istante
Ha bisogno di qualcosa? Come si sente? Tra poco il medico sarà da lei per un ulteriore controllo”
“Fottiti macchina, chiamami un’ infermiera vera prima che ti strappi dal cervello quei quattro circuiti marci!”
Il droide s’immobilizzò, Jonas vide ancora schiarire in modo disgustoso i suoi occhi, poi tornò lucido:
Infermiera Marconi disponibile nel piano, appena contattata, arriverà subito
“Che aspetti, vattene” lo congedò accompagnando la voce con un gesto eloquente della mano.
Poco dopo un donnone in gonnella, palesemente innervosita per la chiamata non prevista, si affacciò alla stanza:
“Cosa abbiamo qui, un signorino che fa i capricci? Cos’è che non poteva chiedere all’unità a disposizione?”
“Devo pisciare” borbottò lui, pensando che quasi quasi sarebbe stato meglio che fosse rimasto quel coso parlante invece che la megera.
“Oh e il suo uccello era troppo prezioso per essere maneggiato da un droide?” disse la donna ironica, mentre pigiando su un pannello nel muro tirò fuori un pappagallo in plastica.
“Avanti, vediamo cosa c’è qui sotto che non abbia visto milioni e milioni di volte” sorrise, e Jonas quasi preferì il broncio di poco prima a quel ghigno da orchessa.
“Faccio da solo, grazie” rispose, trovando finalmente la forza di tirarsi un po’ su.
“Oh, improvvisamente è diventato timido? Vado a fare il mio lavoro e chieda tutto al drone la prossima volta!” uscì borbottando qualcosa, mentre Jonas tentava di convincere la sua vescica ad urinare, mentre il cervello continuava a dare l’ordine di trattenere, che si stava pisciando sotto.
“Detective Jonas” La dottoressa Savini entrò accompagnata dallo stesso drone che aveva cacciato. Scosse il capo pensando a chi fosse venuta la malsana idea di dargli un aspetto così umano.
“La vedo già molto meglio” disse avvicinandosi, con un sorriso genuino.
Si sentì stranamente imbarazzato mentre porgeva il contenitore al droide contenente la sua urina. La dottoressa palpò ai lati del collo, dietro le orecchie. Il tocco delle sue mani risvegliò sopiti desideri, poi si ricordò della sua condizione, del fatto che era menomato ed inutile. Tornò cupo a chiudere gli occhi, mentre la donna lo visitava scrupolosamente.
“Bene, molto bene, George, prego, aggiorniamo la cartella”
Il droide fece un lieve movimento delle dita, come a schioccarle, e davanti a lui si proiettò l’ologramma con analisi e radiografie”
Paziente numero 5977, 37 anni, incidente sul lavoro
Jonas riaprì gli occhi facendosi attento.
Bomba termica. Asportazione della gamba destra nella deflagrazione, gamba sinistra amputata a seguito di necrosi, guarigione completa, pronto per le protesi provvisorie pre-impianto
Strinse il lenzuolo tra le mani, che fossero andati a farsi fottere loro e le gambe di metallo.
Paziente risvegliato dal coma dopo giorni 69
“Sessantanove!!!” gridò senza che ne fosse pienamente consapevole
La bomba ha mandato in tilt il brain chip di raccolta dati, provocando un sanguinamento nell’encefalo. Programmati test,  per la valutazione di eventuali danni, alle ore 10:30, esattamente tra 5 minuti
“Bene George”
“Bene un cazzo, non voglio protesi, non voglio test, ora mi portate a casa, firmerò qualsiasi scartoffia, non voglio cure”
“Mi dispiace detective, ma lei è qui sotto custodia, a causa… ecco, dell’incidente, non può allontanarsi finché non avremo comunicazione dalle autorità”
“Custodia? Che c…” si strappò le lenzuola di dosso, deciso ad andarsene, un attimo dopo una squadra di droni-poliziotto irruppe nella stanza. Afferrarono Jonas per le spalle e quel che rimaneva delle gambe. Il detective ne stese uno, riuscendo a liberare il braccio destro, ma subito altri tre arrivarono a sostituirlo. Quando lo ebbero immobilizzato come un salame notò l’uomo, un poliziotto dai capelli grigi e un sorrisetto ironico che spuntava sotto i baffi fuorimoda.
“Ben svegliato Nathan”
Un dolore lancinante al capo e un flash di quella stessa faccia sconosciuta, che rideva, urlava o gli dava ordini. 
Cosa vuole l'uomo con i baffi?
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sabato 13 dicembre 2014

nuova avventura sul momento di scrivere

Eserciziando! è arrivato il primo lavoro , corretto, commentato e valutato, chi vuole leggerlo? venite a commentare o a postare il vostro! 
http://ilmomentodiscrivere.org/2014/12/12/eserciziando-esercizi-di-scrittura-creativa/

Eserciziando: Scrivete con noi!

1polipoBLU
Eccoci qui con una grossa novità, uno spazio di lavoro collettivo in cui metteremo a disposizione ciò che abbiamo imparato. Perché? Per aiutare chi si accinge ora a scrivere, o semplicemente per esercitarci con chi volesse farlo insieme a noi.
Che aspettate? Dico a voi! Sì, proprio voi, che iniziate a scrivere ora, oppure voi, che non siete mai stanchi di mettervi in gioco, questo è il vostro spazio.
Qui potete scrivere e ricevere riscontri, consigli, opinioni, le nostre ovviamente, e degli altri che leggono. Un momento per far crescere la nostra passione, migliorandoci continuamente.
Come funziona?
Ogni settimana ci sarà un esercizio di scrittura creativa diverso che vi proporremo. Potrà essere una tematica, un genere, una frase su cui scrivere un piccolo brano, oppure sarà… beh lo scoprirete di volta in volta. Dopo che avrete postato l’esercizio riceverete una sorta di Editing con suggerimenti inerenti a grammatica, sintassi e forma, nonché riflessioni ed opinioni sul contenuto. Alla fine riceverete anche una votazione concretizzata in un range da una a cinque stelline. Gli utenti saranno liberi di commentare il lavoro degli altri consigliando modifiche o anche solo esprimendo un parere positivo o negativo. Siete pronti a mettervi in discussione? A ricevere consigli ma anche critiche e tirate d’orecchio? Forza s’inizia.
regolamentoUn’occhiata al regolamento:
I brani non devono essere inferiori alle 500 e superare le 5000 battute, salvo indicazioni diverse per esercizio specifico.
Potete scrivere quel che volete, ma nulla che offenda o superi i limiti della decenza. Non si bestemmia, non si offendono persone, non si fa politica, non s’inneggia alla violenza, sembra ovvio, ma ve lo dico lo stesso.
Siamo qui per crescere, non si risponde in malo modo alle critiche ricevute, d’altra parte chi critica deve farlo nel modo più civile possibile, senza MAI cadere nelle offese (vietate espressioni come: “non sai scrivere o fa schifo” ecc).

Esercizio della settimana:
Questa settimana vi propongo un giochino per rompere il ghiaccio : scrivete un breve racconto che parli del Natale e che contenga i sostantivi : speranza , cittàbocca e asfalto, gli aggettivi: nemicobruttino e l’avverbio improvvisamente.
Genere che volete, massimo 5000 battute.
Le parole richieste devono essere messe in maiuscolo.
Buon divertimento!/2014/12/12/eserciziando-esercizi-di-scrittura-creativa/

venerdì 12 dicembre 2014

Ora voglio leggere questo:


SINTESI

L'incontro con Daisy, una bambina che somiglia come una goccia d'acqua a sua figlia Lucy, e che si è persa all'interno di un supermercato di Londra, sconvolge completamente la vita di Marge.
Com'è possibile che lei sia così simile a sua figlia?
La stessa domanda se la pone anche Alexander, il padre della piccola Daisy che, a causa di una caduta da cavallo, è costretto a vivere su una sedia a rotelle.
Tra i due nasce un'amicizia che, complice il mistero delle due bambine, li riporterà indietro nel passato, senza poter immaginare che, sette anni prima, il destino abbia fatto procedere le loro vite in modo parallelo.
Nessuno di loro due può conoscere il segreto che nasconde Brenda, la donna che Alexander ha sposato in seconde nozze e che lavora come ostetrica in un'ospedale di Londra.
Cercando di venire a capo dell'enigma, Alexander e Marge si ritroveranno a ripercorrere il loro trascorso tra il ricordo di amori traditi e perduti, dove il destino, alla fine, farà in modo di riunire ciò che era designato a rimanere congiunto fin dall'inizio...

Stralci da phoenix... parte 2

PRIGIONIA

Leila non sapeva da quante ore fosse lì, aveva perso la cognizione del tempo e la consapevolezza della sua fisicità. Si sentiva galleggiare nel nulla, in quel buio, silenzioso, mare di gomma nera.
Aprirono la porta e lei fu accecata dalla luce che proveniva dal corridoio, le dissero qualcosa e a lei sembrò strano sentire una voce umana, ringraziò il cielo constatando che non aveva perso l’udito, doveva essere un’altra diavoleria in uso in quella gabbia di matti. Provò uno strano senso di piacere nel contatto umano, anche se con i suoi aguzzini, avrebbe voluto abbracciare la guardia, ma non aveva più le forze per muoversi, la trascinarono letteralmente nella stanza degli interrogatori.
Di nuovo l’uomo con i baffi, sempre lui, iniziava a desiderare la conversazione.
La fece sedere, sembrava molto più gentile, o era il suo desiderio di contatto umano a farlo sembrare tale? Le offrì una tazza di tè caldo, che lei bevve riconoscente. L’uomo iniziò: «Allora mi vuole dire il suo vero nome?»

Leila continuava a tacere.

stralci da Phoenix....

Battibecchi...


«Dritta a casa? Ma ti sei bevuto il cervello? In caso ti fossi scordato quelli ci stanno cercando, credi non abbiano piazzato qualche scagnozzo davanti a casa mia? Appena metterò piede lì dentro mi verranno a prendere in meno di un minuto, non sarò al sicuro finché tutta questa faccenda non sarà conclusa, vengo con te!»
«Devi essere completamente svitata, tu non vieni affatto con me!»
«Oh sì invece!»
«Oh no invece!»
«Si dà il caso che se tu non mi porterai con te io spiattellerò ai quattro venti, se serve anche alla stampa, il tuo nome e cognome, il tuo bel nome in codice e soprattutto dove sei diretto.»
«Non lo faresti!»
«Mettimi alla prova!»

Si fissarono per un lungo istante con odio negli occhi, lei teneva le braccia conserte e si mordeva il labbro inferiore, lui stringeva così forte il bicchiere nella mano che le nocche erano diventate bianche, poi lo sbatté con violenza sul tavolo: «Mondo lebbra! E va bene! Finirai per morire o farmi ammazzare, lo so già, vieni pure, non ne hai ancora abbastanza di questa vita?» non aspettò la risposta, si alzò furioso ed uscì, Leila guardò Greg con un’espressione di trionfo stampata sul viso.

giovedì 11 dicembre 2014

due nuovi acquisti...

I miei ultimi acquisti. Quale iniziare per primo????

Sinossi

La vita di Jordan O'Neill, medico veterinario della contea di Galway, in Irlanda, è segnata dalla morte del marito Philip. Quello che fu archiviato come tragico incidente viene rimesso in discussione alla scoperta, mesi dopo, di una collanina rinvenuta tra gli effetti personali dell'uomo; una collanina che, come sostiene Jordan, non è mai appartenuta a suo marito.
Perché allora fu rinvenuta sul corpo di Philip? Quale mistero si nasconde dietro quell'accessorio apparentemente insignificante?
Per Jordan inizia così una ricerca personale della verità, che la porterà suo malgrado ad affrontare fantasmi del passato e soprattutto a fare i conti con un segreto tenuto nascosto per più di vent'anni. 

Sinossi

''Il paese dei poveri'' è un romanzo di critica sociale, imperniato sul concetto di produttività, nonché una disamina, in un contesto distopico, del concetto dei lager e dei prigionieri.
In un mondo in cui l'economia e la produttività sono tutto ciò che conta, la popolazione è costretta a non essere povera: essere in miseria è un delitto, è rallentare la società, e dunque, per evitarlo, la società, sotto lo schermo dell'indifferenza dei suoi cittadini, interna in grandi istituti, chiamati ''paesi dei poveri'', coloro che vengono ritrovati in strada, nullatenenti e nullafacenti.
In questo lager per barboni si ritroverà il protagonista, costretto a viverne le regole, affini a quelle dei famosi lager di Birkenau e Auschwitz, e a essere così alienato dalla sua stessa condizione di umano, fino alle conseguenze più terribili che possano essere pensate.
In una disamina non solo della condizione di internato, ma anche della società che circonda questi luoghi di detenzione, e con un occhio critico, attraverso la similitudine con il nostro mondo, sempre più dedito all'economia e al guadagno come primo bastione, ci ritroveremo davanti a scenari difficili da sopportare, ritrovandoci, in parte, corresponsabili del dolore dei prigionieri. 

mercoledì 10 dicembre 2014

L'amica dei libri: Phoenix-Operazione Parrot di Francesca Rossini Rec...

L'amica dei libri: Phoenix-Operazione Parrot di Francesca Rossini Rec...: Buon pomeriggio! Oggi vi propongo la recensione di un romanzo ad alto tasso adrenalinico, fatto di spionaggio e suspense! Phoenix-Operazion...

recensione del mio Phoenix

Ragazzi, sono davvero commossa, una splendida recensione del mio romanzo, che mi fa pensare che vale la pena ogni sacrificio, se si riesce a regalare un'emozione almeno ad una sola persona.... :-)

questo il linkhttp://amicadeilibri.blogspot.it/2014/12/phoenix-operazione-parrot-di-francesca.html

e questo qualche stralcio

L’inizio di questo romanzo è sicuramente esplosivo, accattivante, immediato. La caratterizzazione dei personaggi è fulminante. Su due piedi ci troviamo di fronte Clay Hobbs, alias Blu Shadow, super agente della CIA alle prese con la cattura di un uomo, un russo di nome Egor Vinogradov, che già tre anni prima aveva tentato invano di catturare. Il fantasma del nemico lo perseguita e adesso si ritrova a doverlo catturare mentre l’uomo è ricoverato in un ospedale sotto falso nome, per poi consegnarlo al suo capo. 
L’autrice ci descrive Blu Shadow come un’agente che non passa di certo inosservato agli occhi di una donna. Fisico atletico, sguardo magnetico, a volte celato da un paio di lenti a contatto scure per nascondere il verde incalzante degli occhi, determinazione e sicurezza, senza considerare una sensualità innata. Che altro? Stop, please, direbbe qualcuno. 
Il suo personaggio non poteva essere una passeggiata ed ecco che l’autrice lo complica considerevolmente e devo dire intelligentemente, con una personalità carica di lati oscuri, come le esperienze in Vietnam, che gli hanno provocato un disturbo post traumatico da stress, rendendolo vulnerabile, al limite di comportamenti borderline e atti compulsivi che evidenziano spesso una sostanziale e pericolosa perdita di autocontrollo. ...............Fin dalle prime pagine l’atmosfera è carica di adrenalina. Dico subito che non mi aspettavo una storia così roboante, emozionante, capace di farti scalare velocemente le pagine per scoprire cosa succede. I personaggi sono delineati alla perfezione, e questo è un merito che va riconosciuto senz’altro all’autrice, perché non è per niente facile trovare una simile cura e profondità nella narrazione dell’essenza di un attore da romanzo. Grazie al suo stile e alla sua scrittura, mai superficiale o superflua, inquadriamo immediatamente Clay e Leila come un uomo e una donna agli antipodi per personalità e stili di vita, interessi e segreti, ma percepiamo sin da subito aria di scintilla. 
...........Fughe rocambolesche, avventure al limite della fame e della sete, personaggi che non sono quello che sembrano, figli che tradiscono i padri perché non si sentono parte di un mondo di assassini, vendette e sangue. CIA contro KGB vale a dire anime americane contro anime russe ma in fin dei conti, tutte le spie fanno lo stesso lavoro: quello sporco. 
.................Il rapporto tra Leila e Clay è pazzesco. Si amano e si odiano irrimediabilmente. Attraverso la narrazione in terza persona e il punto di vista onnisciente, conosciamo singolarmente i loro pensieri più intimi, ma se dovessimo limitarci a leggere solo quello che si dicono tra di loro, penseremmo che si odiano totalmente. Eppure la loro relazione è burrascosa. Lei pensa che lui sia matto come un cavallo e lui pensa che lei sia fuori di testa. Più chiaro di così? ...................
Leila e Clay sono personaggi molto particolari e controversi. In romanzi come questo, è facile trovare protagonisti stereotipati e io avevo esattamente questo timore quando ho iniziato a leggerlo. Ma posso dire con sicurezza che la bravura dell’autrice nel tessere la trama e arricchirla di protagonisti di spessore e consistenza, mi hanno fatto dimenticare totalmente quella paura, ritrovandomi a riconoscere che la preziosità di questa storia sta proprio nel trovare protagonisti in grado di spazzare via pericolose banalità e clichè, rivestendosi invece di contrasti e contraddizioni che li rendono molto reali e vicini alla vita comune in qualsiasi situazione. 
In altre parole Francesca Rossini è stata in grado di renderli credibili nonostante, come suo romanzo d’esordio, abbia voluto cimentarsi in un genere, come le spy story, che sono altamente rischiose, proprio perché facilmente vittime di stereotipia e convenzionalità. 

“Clay assaporò quel bacio timido, distrattamente, pensando a Vinogradov. Poi però la vicinanza della donna, il suo profumo, la pelle liscia sotto le sue mani catturarono tutta la sua attenzione. La baciò con estrema lentezza, accarezzando le guance con i pollici. Sentì divampare la passione, forse per la prima volta nella sua carriera dimenticò dove fossero e si tuffò in un bacio passionale, lungo ed esigente. Le mani scesero ad accarezzare la schiena di lei, stringendola sempre più forte a sé.” 
L’attrazione tra loro paradossalmente rende più complicate le cose, mettendo seriamente tutti in pericolo. Da due si passa a tre protagonisti di questo amore fatto di gelosia, invidia, rabbia e senso di giustizia, capace di rendere elettrizzante ed incandescente l’atmosfera. Ma quando giunge il momento inevitabile della perdita, tutto sfocia in una terribile follia. Clay e Leila si perderanno e soltanto allora lui capirà di essere profondamente legato a lei, in un modo che non avrebbe mai immaginato. 
La caratterizzazione del personaggio di Clay è quella che mi è piaciuta di più. Un uomo forte, coraggioso, addestrato a superare le più atroci difficoltà eppure fragile in un modo che oserei dire devastante, tragico, senza alcun controllo, quando si tratta di perdere colei a cui è legato. Un uomo estremamente sensibile al fascino spontaneo e naturale ma anche incasinato di Leila, che gli mostra, senza volerlo, cosa significa perdere veramente la testa per qualcuno. Letteralmente. 
Il modo in cui l’autrice lo rende visibilmente provato, spezzato, lo ha reso irresistibile ai miei occhi. E non perché sia bello o sexy ma semplicemente perché è un sopravvissuto pieno di contraddizioni e complicanze, capace di perdere il controllo per amore e capace di tutto per salvarlo. 
Dunque molto spazio ai sentimenti e in un genere narrativo come questo è inusuale, ma il modo in cui lo ha fatto l’autrice, l’ho trovato perfetto. Ho apprezzato i momenti di profonda solitudine e di abbandono di Leila lontana dal suo “cavaliere” e l’intensità con cui lo pensa, ammettendo quello strano ed inconsueto bisogno di lui in perfetta sintonia con i crescenti ed inquieti pensieri di Clay che nello stesso istante non smette di sentire la sua mancanza e di soffocare il desiderio incontrollabile di salvarla, per riportarla da lui. 
Nella sua stravaganza ed inaccessibilità Clay resta il punto focale di questo romanzo che è molte cose insieme e lo è tutte nel modo giusto. Ruoli importanti giocano l’amore e i sentimenti ed è con essi, riuscendo a giostrarli bene con la trama frenetica, che l’autrice dimostra bravura e padronanza. Un romanzo che non lascia indifferenti e che come poche volte mi capita, alla fine della lettura, mi ha lasciata con un sottile senso di soddisfazione. Una sorta di sollievo, di leggerezza. 
Niente male, sì. Proprio niente male.



lunedì 8 dicembre 2014

Nuova storia!!! Jonas


Detective chi?

Rumore ritmico, martellante, sibili ovattati di sottofondo, formicolio diffuso.
Questo sentiva, mentre cercava di capire dove fosse, mentre cercava di ricordare CHI fosse.
Improvvisamente consapevole di un tubo infilato nella sua gola, sentì l’impellenza di tossire, ma non vi fu risposta dal suo corpo. Poi gli occhi si socchiusero e i rumori si fecero assordanti.
“Mmm” mugolò frustrato, in preda al panico del non sapere.
“Si calmi detective” sentì una voce metallica. Aprì ancora un po’ cli occhi, ma le palpebre continuavano a calare inesorabili, non volendone sapere. Un viso umano, eppure non umano lo fissò in quell’attimo in cui si era aperto uno spiraglio. Poi le parole toccarono la sua mente:detective, quella parola gli era familiare eppure non ricordava, non ricordava nulla. Cercò di sforzarsi, ma la sensazione del tubo in gola e del corpo costretto all’immobilità avevano la precedenza, catturando ogni suo pensiero.
“MMMMMM” fece più forte.
“Paziente 5977 risveglio, richiesta di un medico, ripeto paziente 5977…”
La voce metallica di quel ‘coso’ accanto a lui lo terrorizzava.
“Buongiorno!” finalmente il calore di una voce, una voce vera, umana”
Sentì mani leggere su di lui, poi la sgradevole sensazione del tubo che veniva sfilato dalla sua gola. Finalmente tossì, più volte, il capo si alzava, ma il resto del corpo rimaneva immobile.
“Non si sforzi detective Jonas, a breve starà molto meglio, mi lasci fare alcuni esami di rutine”
Ancora quella voce femminile, ancora quella parola ‘detective’
Si sforzò di ricordare, un lampo di luce, flash di fumo e umidità, tubature esposte, tutto qui, nebbia, nebbia fitta nella sua mente disorientata.
Ancora le mani delicate sul suo corpo, fu felice di sentire che la sua pelle le percepiva.
“La pressione è nella norma e anche i battiti, HSA fai lo scanner completo e inviami i dati”
Sentì un leggero Calore e una luce passare per un attimo sui suoi occhi stanchi. Di colpo li sbarrò.
“Ahh cazzo!” gridò alla improvvisa e inaspettata puntura sul suo collo. Quel surrogato umano stava iniettandosi sul dito il suo sangue, era disgustoso ed inquietante. Gli occhi troppo chiari divennero opachi, all’uomo ricordarono i film di zombie, poi tornarono normali.
“Tutto nella norma dottoressa Savini” esordì l’androide.
“Bene, molto bene, iniziavo a pensare che preferisse restarsene a dormire detective”
Vide un sorriso comparire sul volto attraente della donna, sentì muoversi di rimando le labbra in risposta.
“Riesce a parlare?”
“S-si” gracchiò terribilmente la sua voce.
“Perfetto, ora la tiriamo fuori di qui” sorrise ancora, e quel sorriso in qualche modo lo calmava, occhi scuri e luminosi della dottoressa lo scrutavano in cerca di risposte. Pensò che aveva già visto quegli occhi, ma non se ne ricordava, non ricordava nemmeno il suo nome, figuriamoci degli occhi estranei.
Il giaciglio iniziò a sollevarsi alzandogli il capo e le spalle, vide che non era un letto, non proprio, una di quelle capsule riabilitative, gli suggerì il cervello, che forse iniziava a riattivarsi.
Il capo iniziò a girare appena raggiunse la posizione seduta. Ma riuscì almeno ad alzare un braccio e portarlo alla fronte.
“C-chi… chi sono? Io n-non…” balbettò.
“Non ricorda il suo nome?” il volto della dottoressa, seppur impercettibilmente cambiato, mostrava preoccupazione.
“No, non so… non so nulla”
La donna tentò un sorriso, ma l’uomo percepì all’istante che non era lo stesso di poco prima, era un sorriso di circostanza
“Può capitare al risveglio, potrebbe essere una cosa temporanea, faremo altri test, per ora la trasferiremo nella sua stanza di degenza”
L’androide sparì tornando a velocità incredibile con un altro della sua ‘razza’ manovravano una barella
La lasciarono galleggiare a mezzaria mentre si avvicinavano a lui. D’istinto si ritrasse, non gli piacevano quei cosi, sembravano zombie robotici. I suoi pensieri furono troncati all’istante, l’uomo fissava con occhi colmi di raccapriccio e terrore lo spazio vuoto nella capsula, lo spazio che avrebbe dovuto contenere le sue gambe ridotte invece a due vergognosi monconi.
“Cazzo, cazzo, cazzo fanculooooo!!! Voglio andare a casa, voglio le mie gambe!” iniziò a gridare, un istante dopo ancora un ago nel collo e le palpebre tornarono pesanti, mentre un’artificiale sensazione di calma lo colpiva “B-b-bastardi, figli di…” provò ad inveire, mentre la mente iniziava a domandarsi come potessero essere perfettamente guariti quei monconi, da quanto fottuto tempo era lì?
Lo misero sulla barella nella sua perfetta impotenza. Si sentì galleggiare leggero a mezz’aria mentre passavano per gli ampi e lindi corridoi. Entrarono in una stanza, c’era già un letto occupato. L’uomo sbuffò, non voleva condividere l’imbarazzo di un corpo martoriato con qualcun altro, ma non era nelle condizioni di protestare, voleva solo dormire, tornare in quel limbo in cui non era consapevole di nulla, tanto meno della sua menomazione.
2

La luce del traffico fuori dalla finestra filtrava nella stanza buia, l’uomo nel letto accanto russava rumorosamente e Jonas l’aveva mandato talmente tante volte a quel paese che non aveva più la forza di gridargli contro. D’altronde non aveva la minima voglia di dormire, la seduta terapeutica della mattina aveva scosso dei ricordi che lo tormentavano, ma non riusciva ad arrivare al dunque: Lunghe gambe setose, nude, mani dalle dita affusolate e persino un perfetto decolleté, ma ogni volta che provava a concentrarsi sul volto, la donna misteriosa svaniva in modo repentino e frustrante. Lo stesso accadeva per l’uomo che moriva tra le sue braccia, a parte i tubi e il rumore dei passi, non riusciva a focalizzarsi su nulla. Scaraventò la bottiglietta dell’acqua in un impeto di rabbia: non sarebbe migliorato mai, tanto valeva che quei fantasmi abbandonassero definitivamente la sua mente:
“Infermiera!” gracchiò.
La ragazza si affacciò titubante all’uscio, gli avevano affibbiato una novellina, impacciata e timida in modo nauseante, ma almeno era carina, profumava di shampoo e sangue vero scorreva nelle sue giovani vene.
“Mi dica detective” sussurrò la ragazza, il volto in fiamme e le mani che si torcevano in grembo.
“Dammi qualcosa per dormire, questo zombie russa come un facocero!”
L’infermiera gli si avvicinò, sistemando meglio i cuscini dietro la testa.
“Puzza di morto, non sente? Voglio cambiare stanza!”
“Purtroppo non è possibile, gliel’ho già detto prima e… prima ancora” rispose fin troppo gentilmente. Gli diede una pillolina rossa porgendogli la bottiglietta, raccolta con pazienza da terra. Jonas bevve, nemmeno un minuto dopo le palpebre si chiusero quasi di schianto sotto l’effetto del potente sedativo.
Gocciolio di tubi, Jonas avanza cauto nel tunnel male illuminato, dietro di lui percepisce una presenza, non minacciosa.
“Ci siamo quasi Jackson, ora piano, non fiatare” sente la sua voce dire.
“Mi scappa da scoraggiare, ma tranquillo, non è una di quelle col botto” sussurra la voce. Conosce quella voce, la conosce bene.
“Fottiti Jackson!” sghignazza. Poi un boato da rompere i timpani e una luce abbagliante. Un attimo dopo l’uomo, giace tra le sue braccia:
“Prendi quei figli di puttana Jonas, me lo devi” rantola, mentre i denti rossi di sangue lasciano uscire schiuma disgustosa dalle labbra piene, che già iniziano a contrarsi in una smorfia mortale.
“Cazzo!” urlò sedendosi di scatto “Jackson! Malcom Jackson” il ricordo bruciava, scolpito chiaramente nella sua mente dolorante. “No” sussurrò afferrandosi il capo.
“Buongiorno!” La dottoressa Savini era comparsa come dal nulla, seguita dall’ormai onnipresente poliziotto baffuto. Sorrideva e a lui venne voglia di strangolarla e cancellare quel sorrisetto dal volto perfettamente truccato.
“Era la mia spalla”
“Prego?” chiese la donna.
“L’uomo morto, nel mio incidente, ero in servizio vero? Voglio i fascicoli, voglio sapere che è successo e a che caso lavoravamo”
L’uomo con i baffi si sfregò le mani, visibilmente soddisfatto. Ma la dottoressa scosse il capo:
“A suo tempo, deve ricordarsi da solo, non le fa bene sovraccaricarsi di informazioni, che possono generare falsi ricordi”
“Voglio un altro dottore, un uomo, lei non mi sa guarire, anzi, lei è una perfetta imbecille, mi mandi un suo superiore, subito!” era tornato a gridare, ma la dottoressa non sembrava impressionata, incrociò le braccia al petto:
“Quando avrà finito con questi farneticamenti potremmo iniziare la terapia, poi verranno a visitarla per le protesi” il tono era deciso e severo.
“Gliel’ho già detto dove può ficcarsi le sue protesi” replicò, ma un pensiero insistente lo distraeva e non riuscì ad inveire come avrebbe voluto.
Lunghe gambe, snelle e tornite, scarpe rosse, tacchi vertiginosi, bottiglie, una cravatta buttata in terra accanto a una borsetta di pelle nera lucida.
D’un tratto ebbe voglia di un drink, qualcosa di forte, si prese ancora la testa tra le mani, mentre un paio di labbra rosse di rossetto gli sorridevano nella mente.
Alzò gli occhi e vide delle labbra altrettanto sensuali, ma tese in una smorfia. Cercò di trattenere il ricordo, che scappò via veloce, mentre la donna lo fissava in uno strano modo. I loro occhi rimasero incollati per alcuni istanti, poi Jonas si riscosse:
“Voglio sapere di Jackson” chiese.
Si fece avanti il poliziotto:
“Era il tuo compagno, eravate una squadra… la mia squadra” tirò fuori dalla tasca interna della giacca una foto. Jonas sentì il corpo sussultare alla vista di occhi luminosi, un sorriso gentile, un ragazzotto pieno di vita. In un attimo flash di gomitate e battute, di serate nei bar e di lunghi appostamenti per lavoro. Era suo amico, se lo ricordò e una rabbia sorda lo afferrò ancora:
“Lo sapevo! Che cazzo mi fate ricordare a fare questa merda! Lasciatemi in pace, voglio tornare a casa mia!”
Il poliziotto sembrò imbarazzato, la dottoressa si fecce avanti, ma prima che riuscisse a bloccarlo l’uomo disse:
“Tu non hai una casa, non più”

L’armadietto si chiuse con uno scatto secco. Indossare abiti veri lo faceva sentire bene, ma un po’ a disagio. Abbassò lo sguardo sulle scarpe sportive che spuntavano dai pantaloni della tuta dal tessuto liscio. Non si era ancora abituato a quel prolungamento di sé, che gli rendeva possibile muoversi, ma che non riusciva a sentire proprio. Si girò e sentì i circuiti reagire al comando della sua mente. Sorrise amaramente, era per molti versi simile a quei robot che tanto odiava. Sospirò, finalmente era libero, dopo oltre un mese d’inferno poteva ricominciare a vivere. Era stato il mese più frustante della sua esistenza, non che ricordasse poi molto della sua vita per esserne assolutamente certo.
“Toc toc” mimò la dottoressa.
“Oh, ancora lei, ho già firmato, non sono più sotto le sue grinfie”
Rispose brusco, ma sotto la maschera da burbero nascondeva una crescente simpatia per la donna che gli era stata accanto, sopportando stoicamente tutti i suoi momenti no, ed erano stati davvero tanti.
“Non ci sperare troppo, ha i controlli settimanali Jonas, la voglio qui ogni lunedì alle sette”
“Ed eccola lì pronta a smorzare il mio entusiasmo” ribatté lui, infilando la felpa della tuta e sollevando la leggerissima sacca con i suoi miseri effetti personali.
“Sicuro di non voler cercare un appartamento? Ce ne sono di carini vicino all’ospedale così potrà...”
“L’albergo andrà bene, l’assicurazione ha sganciato un bel gruzzolo”
“Già” disse lei rassegnata.
“Buongiorno” l’uomo dai baffi comparve sulla soglia e i due sobbalzarono di sorpresa. Aveva ceduto, dopo i fallimenti di Jonas nel ricordare, aveva dato di matto. Jonas era riuscito a sapere che c’era di mezzo sua figlia, rapita durante l’operazione in cui lui era stato ferito. E piano, piano si era rassegnato, distrutto dal dolore aveva dato le dimissioni. L’ispettore Hors non c’era più, rimaneva un vecchio distrutto dal dolore, che beveva troppo e si piangeva addosso. Tutto questo per colpa sua. Jonas provò una fitta di dolore nel vederlo, smagrito e dalle gote arrossate dall’alcol.
“Che ci fa qui?” chiese distaccato, per non mostrare il suo dispiacere.
“Ti accompagno” disse solamente. Jonas non fece domande, si avviò con lui facendo un saluto militare scherzoso alla dottoressa: “Adios bellezza”
“A lunedì detective” sorrise lei. Jonas non poté evitare di sorridere di rimando. Aveva smesso di chiedersi cosa le ricordasse quella donna, godendosi invece le sensazioni piacevoli che gli procurava la sua vicinanza.
L’uomo taceva mentre l’accompagnava a destinazione, l’auto sbandava vistosamente nel traffico, sorvolando all’ultimo momento persone e cose sollevandosi di scatto verso l’alto, Jonas aveva voglia di vomitare.
“È ubriaco” disse. Non era una domanda e l’uomo non rispose.
Imboccò i vicoli di Vivaldi Street. Lo splendore della città antica rimaneva un ricordo protetto dal plexiglass.
“Non è questa la strada” disse dopo un po’. I suoi ricordi erano lacunosi, per molte cose inerenti al suo passato, ma chissà come ricordava quelle zone, doveva averle pattugliate più e più volte. A conferma di ciò un lampo e il volto scuro del suo collega comparve a ricordargli il completo fallimento: Non aveva ricordato, non poteva vendicare la sua morte e soprattutto la figlia dell’ispettore a quest’ora giaceva sicuramente morta nel fondo di qualche putrido fiume.
L’ex poliziotto continuava a tacere, il fianco del veicolo colpì più volte le protezioni poste sulle mura antiche.
Attenzione, infrazione, alla prossima anomalia contatto centrale. Vuole segnalare un guasto?” la voce meccanica avvisava che stavano per essere nei guai.
“Sì, lieve guasto alla propulsione, ci stiamo per fermare”
“Ha bisogno di assistenza tecnica?”
“No, il mio drone è un m55, in grado di riparare il danno” Poi tacque.
“Il suo drone eh?” disse Jonas, ma l’uomo sembrava assente. La puzza di alcol stava divenendo insopportabile e l’ispettore sembrava concentrato nell’intento di non andare ancora a sbattere. Poi di colpo frenò.
Jonas osservò l’asfalto pieno di crepe, non era stato sostituito dai mastici anti urto delle zone bene. Si vedevano gruppetti di bambini giocare con un rottame, cercando di farlo resuscitare per giocare. L’uomo scese e disse: “Seguimi”
Jonas non si mosse, fissando quel misero robot, che doveva essere la carcassa di un cane o un gatto, uno di quegli anima pets, che facevano persino la pupù. Scosse il capo disgustato.
“Allora?” lo incitò l’altro dall’esterno.
“Non scendo se non mi dice dove andiamo!”
“A recuperare quei ricordi in un modo o nell’altro”
Jonas si bloccò, guardò i caseggiati dalle finestre con le inferriate, l’insegna penzolante di un negozietto informatico da quattro soldi, di quelli in cui porti a rottamare la tua caffettiera quando ne esce un modello più nuovo. Sbuffò e sentì il sottile fruscio delle protesi che ricevevano l’ordine di alzarsi. Lo seguì all’interno di un palazzo cadente, mentre i ragazzini si accalcavano vicino al veicolo lussuoso di Hors.

Cosa accadrà ora a Jonas?
Hors lo fa sottoporre a tecniche illegali per recuperare la memoria, iniziano le indagini
Hors ha una stanza in cui tiene tutti i dati che ha reperito sul caso, iniziano le indagini
Hors lo porta da uno strano tipo per ipnotizzarlo e tornare con la mente a prima dell’incidente, iniziano le indagini


Il palazzo non aveva ascensore, Jonas imprecò mettendo a dura prova il suo corpo, non ancora abituato alle nuove gambe. Il tanfo di urina non facilitava il compito. Finalmente giunsero al decimo piano, una donnetta orientale venne ad aprire, si fece subito da parte senza mai alzare lo sguardo dal pavimento.
All’interno un giapponese in canotta, impianto oculare vecchio di decenni all’occhio sinistro, lo scrutò. Si soffermò a lungo sulle sue gambe, Jonas sospettò che quell’impianto malandato nascondesse trucchetti non approvati dalla legge.
Hors si sedette su una poltroncina, presa da qualche cinema di infima categoria.
“Siediti” gli disse indicandone un’altra accanto alla sua.
“Scordatelo!”
Un attimo dopo sentì il freddo metallo di una pistola sulla nuca, mentre il puzzo di alcol e sudore di un nuovo arrivato si era materializzato dal nulla.
“Ok, ok, calmo amico!”
Si sedette e subito fu legato con strette cinghie.
“Sei in grossi guai Hors, ti ammazzerò lo sai? Se ne uscirò vivo ti ammazzerò!” ringhiò.
 “procediamo!” disse  Hors impassibile.
“Dimmi almeno che diavoleria è!”
“Scambio di ricordi Jonas, solo un aiutino a ricordare”
“Scambio di ricordi? E che ne sai tu di me o del caso che ti serve”
“Di te so quel che basta fidati, per il caso… spero che i miei ricordi diano un bel calcio nel culo ai tuoi, che saltino fuori in fretta, sempre che non ci rimani secco. Promettimi una cosa”
“Io dovrei promettere a te una cosa? Te lo ripeto: sei fuori!”
Srotolò lo schermo di un portable world “non hai una casa giusto?”
Jonas vide una villa, affacciava sull’oceano e sembrava molto lussuosa, sotto, un contratto già siglato: quella casa gli apparteneva!
 “Se a lasciarci le penne sarò io voglio che tu continui ad indagare, che cerchi mia figlia”
“Tua figlia è morta!” ribatté.
“Una casa per un’indagine, penso che me lo puoi concedere!”
Silenzio.
“Allora, ho la tua parola?”
“Potrei dirti di sì e poi non farlo”
“Te l’ho detto Jonas, ti conosco meglio di quanto credi e so che la tua parola vale”
Silenzio.
Infine Jonas esplose “ok, hai la mia parola!”
Hors annuì e l’orientale si avvicinò, rasò una piccola zona di cranio e infilò un ago
“Aaah “ gridò Jonas “ringrazia Dio che sono legato babbuino!” l’uomo non reagì, infilò l’ago nel cuoio capelluto di Hors, poi applicò degli elettrodi alle tempie, sul collo e sul petto di entrambi. Infine iniettò un prodotto non identificato in endovena. Jonas sentì le palpebre crollare istantaneamente.
Buio, freddo, nausea, Jonas non capiva cosa stesse succedendo, poi un flash e delle voci.
“Abbiamo portato il dessert, i migliori cannoli della città”
Jonas vide subito le scarpe rosse, lucide, così familiari, così eccitanti. Ma la donna era sfocata.
“Sì, mi ha portato dall’altro capo della città per fare una fila di mezzora e siamo in ritardo, lo dicevo io che una torta sarebbe andata bene lo stesso!”
Un uomo, la sua voce… Jonas sentì il rumore assordante del proprio cuore che galoppava imbizzarrito, quella era la sua stessa voce, quello era lui!
“Nathan, non fare il guastafeste, andiamo a salutare Martha”
La donna si avvicinò a quell’altro lui ed ora poté vederli bene, il cuore frenò la corsa e perse un colpo.
Quel lui era vestito come si vede, si reggeva sulle sue gambe e soprattutto cingeva alla vita una donna assolutamente deliziosa, avvolta in una abito rosso ciliegia, che lo fissava con scintillanti occhi scuri, quella donna era la dottoressa Savini!
Sentì i conati di vomito crescere, cercò di ribellarsi a quelle immagini, la testa sembrava esplodere, Jonas si sentì pervadere da una forza estranea e infine cedette alla valanga di ricordi non suoi e non voluti.
Vide Hors che baciava sua moglie, che festeggiava Natali con la sua bambina, che teneva la mano a Martha sul letto di ospedale e poi che la spingeva nella poltrona per disabili. Vide la figlia cresciuta che aiutava la mamma ad usare il programma di spostamento oggetti a comando cerebrale, vide con quanto stucchevole amore questa sfortunata famiglia continuava ad andare avanti e poi vide quel che non avrebbe mai voluto vedere: la donna malata con il volto contorto da una smorfia di dolore e la casa trasformata, sudicia e trascurata, bottiglie ovunque e Martha sporca delle sue stesse feci.
“Noo!” provò a gridare con tutto il fiato che aveva in gola, come in risposta lo scenario cambiò, gli sembrò di sentire un mugolio proveniente da lontano, per un attimo pensò a come dovesse sentirsi quell’uomo a condividere con lui i suoi più intimi ricordi e quanto doveva costargli.
Ora luce e calore, un prato fiorito. Vide subito i suoi lunghi capelli castani e si rivide. La baciava, la baciava sull’erba con passione, una mano ad insinuarsi sotto il leggero vestito estivo.
“Ehi voi, ci sono i bambini!” sentì di nuovo la voce di Hors, subito la donna si staccò, con un sorrisetto imbarazzato, si sistemò la gonna e gettò un’ultima occhiata piena di desiderio all’altro fortunato se stesso:
“Nathan non ha avuto il permesso per la luna di miele” si giustificò imbarazzata. Risero e Jonas inorridì notando le fedi nuove brillare sulle loro mani, sulla sua mano!


7
Un po’ di luce nell’oblio
Jonas sudava e continuava a scuotere il capo violentemente, gli occhi spalancati roteavano impazziti, mentre un rivolo di saliva colava dalla bocca spalancata, da cui provenivano gemiti e lamenti inarticolati.
Hors non se la passava meglio: il volto paonazzo, completamente ricoperto di sudore, gocciolava copiosamente, innaffiando il colletto della camicia, fin sul petto. Ansimava, sibilando in un respiro asmatico, serrando la mano al petto.
Jonas provò a ribellarsi a quei ricordi assurdi, ma dopo una breve pausa d’immagini per lui insignificanti, il flusso ricominciò:
Di nuovo lei, di nuovo il suo corpo reagì tendendosi e pompando sangue a ritmo frenetico. Stavolta era in camice, i suoi magnifici occhi sembravano stanchi, cerchiati, forse da un lungo turno di lavoro.
“Come va?” sentì la voce di Hors.
“Oh, si tira avanti, ehm, scusami, non ho più chiamato, appena avrò un momento passerò a trovare Martha” rispose con voce atona, poi si voltò e sbarrò gli occhi:
“Devo andare, scusami”
La visuale si spostò un po’ lateralmente e Jonas si rivide, anche lui non molto ben ridotto: cravatta allentata, camicia sgualcita e barba lunga.
“Toh, chi si rivede, una settimana di malattia scade domani figliolo, ti aspetto alle sette, sbarbato e pulito, puzzi come una distilleria!” disse la voce.
“Oh, non iniziare!” sua di voce era impastata e roca: “Dov’è andata? Ha paura che sia contagioso? Potrebbe anche fermarsi a salutare” un tono rabbioso smosse qualcosa in lui, una sorta di empatia più che di ricordo, ma d’altronde chi non provava empatia per se stesso?
“Ragazzo, non iniziare, lo sai che è meglio non vi incontriate prima del processo, dimmi piuttosto, novità per il caso?”
“Molte più novità di quanto credi, se quel che ho scoperto è vero correrò a rimuovere il mio chip immediatamente”
“Bene, perché lo sai che se sbagli oltre al tuo matrimonio ci rimetterò io stesso il culo e non posso permettermelo!”
D’un tratto tutto scomparve in un vortice, si rivide a correre in un sotterraneo, le tubature del sogno tornarono più vivide.
“Nat, cazzo aspettiamo i rinforzi, ti rendi conto di quel che abbiamo scoperto? Qui ci fanno il culo all’istante!” era il suo compagno, un moto d’affetto per quel giovane volto amico e due lacrime scivolarono inconsapevoli sul volto distrutto di Jonas.
“Non possiamo, c’è la figlia di Hors lì dentro, glielo devo!”
A quelle parole Jonas percepì un grido lontano, comprese che non era solo Hors a dare ricordi, ma proprio ora stava ricevendo i suoi.
Ciò lo spaventò a morte e in un attimo gli salirono in mente tutti quei ricordi che avrebbe voluto difendere, ottenendo l’effetto contrario, richiamandoli:
Un bacio di passione, labbra morbide e pelle vellutata, mani delicate sulla sua schiena nuda. Poi cambio scena: schiaffo violento e grida, la sua roba che vola in aria per l’appartamento e quegli occhi splendidi che piangono, lei, la dottoressa, sua moglie, a terra in camicia da notte, i lunghi capelli che le ricadono su un volto distrutto e lui che corre via, valigia alla mano e sguardo impassibile, ma animo svuotato.
Poi bottiglie, appartamento nuovo e tacchi a spillo, tanti, di tutti i tipi, come i tipi di pelle che aveva assaggiato.
“Basta!!!” urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni. Girò il capo convulsamente e un tubicino gli sfiorò il labbro, si girò ancora, senza esitare e lo strappò via con un morso, sperando di non rimanerci secco.
Nausea istantanea e poi buio, ancora nella sua testa risuonavano voci: le grida della dottoressa, le risate di Malcom nel mezzo di pattuglia e infine il boato dell’esplosione.
Vomitò violentemente sulle proprie ginocchia, impossibilitato ad alzarsi. Poi iniziò a distinguere la luce.
Per prima cosa si voltò a guardare Hors, Lo stavano slegando e tossiva violentemente, mentre un patetico drone vecchio di decenni faceva lo scanner corporeo per rilevare danni fisici.
“Tachicardia ventricolare, pressione 210 su 95 paziente a rischio arresto” diceva la voce a singhiozzi.
“Ma funziona quel coso?” chiese Jonas preoccupato “Hors, ti posto in ospedale, fammi slegare!” Jonas non sapeva perché non imprecava o inveiva contro il suo ex capo, quel mescolare ricordi lo aveva reso debole e stordito, in un attimo riprese il suo atteggiamento “Liberami seduta stante babbuino o ti farò crepare in modo talmente doloroso che mi supplicherai di farla finita” ruggì. Ma l’uomo era impegnato ad impedire che hors morisse nel suo appartamento, gli stava iniettando una fiala, mentre il drone esaminava ancora la situazione.
La donna che gli aveva aperto entrò, storse il naso inveendo contro l’uomo, indicando il vomito che evidentemente avrebbe dovuto pulire lei
Gli si avvicinò e lo liberò, nello stesso istante Hors riprese i colori e disse piano:
“Mi dispiace ragazzo, davvero”
“é…lei è mia moglie?” chiese Jonas.
“lo era” rispose Hors mestamente.

Quel maledetto chip

Tornò in salotto, con quella sensazione d’intrusione sempre nella mente. Martha era ancora lì, al centro del salotto, sulla sua poltrona avvolgente, silenziosa e immobile.
D’impulso chiese: “Perché è finita?”
La voce rispose attraverso la stanza:
“L’amavi molto, poi sei cambiato, qualcosa ti ha cambiato”
Non aggiunse altro e lui non chiese altro. Si alzò risoluto e uscì.
L’ospedale gli diede subito un senso di claustrofobia, ma lo ignorò:
“La dottoressa Savini” chiese alla reception “Le dica che suo marito vuole parlarle”
Poco dopo l’ascensore si aprì mostrando il volto stupefatto della donna. Jonas poteva leggervi, oltre alla sorpresa, la soddisfazione come medico e qualcos’altro: delusione? Rammarico? Forse avrebbe preferito che lui la dimenticasse per sempre.
“Perché non me lo hai detto?”
“Non volevo interferire, sai i ricordi devono..”
“Stronzate!”
Lei abbassò lo sguardo, lo prese per mano “Non qui” lo trascinò verso l’uscita.
“Perché abbiamo rotto?” lei parve stupita.
“Non ricordi?”
“Non ancora”
Lei si fece cupa, immersa nei ricordi: “hai voluto impiantare il chip, per potenziare la memoria, non sopportavi che i droni venissero in missione e l’unico modo era registrare tu stesso i dati. Io non volevo, ti avvisai delle possibili conseguenze di un corpo estraneo non ancora sufficientemente sperimentato. Non mi ascoltasti” abbassò il capo, per camuffare il dolore che provava. “Poi diventasti sempre più lunatico, irascibile e infine totalmente instabile, io, io… avevo paura di te”
“Per quel che vale, mi dispiace” Voltò le spalle e se ne andò, non riusciva a leggere oltre quella conversazione, non riusciva a porre la domanda che più di tutte lo terrorizzava. Se ne andò afferrando al volo laflyviache passava in quell’attimo. L’aria sferzava il suo volto mentre l’andirivieni della città si snodava sotto i suoi piedi. L’aveva persa per un capriccio? Era divenuto un mostro per rifiutare quegli altri mostri robotici? Non ricordava neppure da cosa scaturisse quest’odio. Era un uomo svuotato, riempito in parte di ricordi non suoi, senza meta né origine, alla deriva. Andò nell’unico posto che gli venne in mente. Pigiò il bottone dello stop e il sedile si abbassò fino a che i piedi non toccarono terra. Scese. Rimase col naso all’insù guardando la sua vecchia casa, la casa di lei ormai, quella che non gli apparteneva più. Era esausto e aveva la nausea. Si avvicinò. Lo scanner corporeo si attivò, il portone principale si aprì riconoscendolo. Non aveva intenzione di entrare, ma all’apertura della porta non seppe resistere. Salì al ventesimo piano, come in trance. La porta era chiusa, si avvicinò, lo scanner si attivò, ma un segnale sonoro decretò che non era autorizzato. Fissò le scale che portavano alla soffitta, d’un tratto un ricordo, sorrise e iniziò a salire. Il vecchio divano era lì dove si era ricordato di averlo spostato, dopo aver comprato il nuovo modello fluttuante. Si sdraiò sentendosi a casa, come non accadeva da secoli. S’addormentò subito.
Mal di testa, pulsante, feroce, non vuole dirlo a lei, non vuol farla preoccupare. Bussa alla porta. Hors apre. “Devo parlarti” le dice. La ragazza si volta, lo guarda, comprende. Lo fa accomodare nello studio. “Lasciaci soli papà”
Poi flash:ancora quello studio. La ragazza seria, sempre più stanca, sempre più provata. Lui le racconta dei sogni, dell’umore nero, della rabbia che sente salire incontenibile.
“Mi spiace Nathan. Sembra che la tua mente si stia ribellando, ma queste apparecchiature non bastano, dovresti venire con me alla Braintec”
“Come pensi di portarmi, nascosto nel tuo camice?”
“Non fare lo scemo, domani Klaus mi riceverà di nuovo, proverò a convincerlo: deve ritirare i chip, con le buone o con le cattive”
“Che hai in mente?”
“Diffusione dei dati su tutti i social e addio credibilità della Braintec”
“Promettimi di stare attenta”
“Lo farò”
…………
La squadra è pronta, senti l’adrenalina scorrere nelle vene, oltre al pulsare della testa marcia. Non hai più tempo, la bomba ad orologeria che hai nel cervello ti ucciderà, ma prima devi salvare la ragazza.
“Alle 15” le avevi detto “mandami un messaggio dopo la riunione” sapevi che non si poteva minacciare  Morgan Klaus senza rischiare. E ora sono le 17:00, nessun segnale. Hai raccattato la tua squadra senza permesso, sei sotto i sotterranei e preghi che il tuo cervello non impazzisca prima di averla salvata. Lo devi a lei e a Hors.
“Squadra in posizione” dice Jackson, annuisci col capo e procedi. Senti il gocciolio delle tubature, ci sei quasi, la rampa d’accesso per la manutenzione è sopra la tua testa. Poi un forte rumore alla tua destra.
“UNITÀ DUE ALLARME, RIPETO ALLARME SIGNORE: UNA VENTINA DI DRONI CI HA AVVISTATI” l’unità che hai raccattato dalla sala ricarica fa rapporto, gli spari successivi ti dicono che lui e gli altri tre, posti di guardia, sono fottuti.
Con la coda dell’occhio vedi il movimento, ma è già troppo tardi. Jackson prima di te si lancia, ti butta a terra, poi boato e buio.
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Affacciandosi alla vecchia vita
Jonas non riusciva a crederci: era stato a contatto con quella donna giorno dopo giorno, aveva provato simpatia ed interesse per lei ed ora scopriva che era sua moglie, anzi, la sua ex moglie e probabilmente aveva riso di lui. Fu tentato di chiederle cosa fosse successo, ma poi decise che non voleva sapere, voleva solo una bella doccia, un buon caffè e ricominciare una nuova vita.
Hors era taciturno, il volto cinereo mostrava che non aveva gradito lo scambio di ricordi, almeno quanto lui.
“Guida tu” chiese con un filo di voce “63 esima strada”
Il cancello si spalancò riconoscendo la scansione corporea di Hors. Un drone dall’aspetto femminile venne ad aprire, Jonas ne fu stupito, non ricordava molto, ma non gli sembrava tipo da droni.
“Buona sera” salutò “Il suo ospite si fermerà a cena?”
“Prepara la stanza degli ospiti, Questo è il detective Jonas, si fermerà per alcuni giorni”
Jonas tacque, ignorando il robot, entrò e subito si bloccò, un altro consistente flusso di ricordi lo colpì come un pugno, non sapeva se provenissero da lui o da un residuo di quelli di Hors.
Dovette sorreggersi ad un mobile, mentre la testa girava.
“Papà!Finalmente, su corri!” una ragazzina sui tredici anni tirava la mano ai proprietario dei ricordi “Piano, piano” disse la voce non sua.
Lo trascinò in salotto, corse a sedersi ad un antico piano forte a coda e iniziò a suonare. Jonas percepì un amore profondo, un amore non suo, che pulsava violentemente in tutto il suo essere.
Poi risate, ancora quel salotto e mani lisce tra le sue. All’istante seppe di chi era quella risata e provò un profondo senso di soddisfazione e felicità, come non ricordava di averne mai provata. Lei aveva i capelli raccolti, due piccoli orecchini brillanti e un sorriso sensuale diretto solo a lui. I suoi occhi penetranti lo facevano rabbrividire, mentre accarezzava piano il dorso della mano, compiendo piccoli cerchi con il pollice. Lei si chinò su di lui e gli sussurrò: “Ti amo” lo stomaco si serrò all’istante e la sua mente rispose: “Anch’io” ma non la voce del ricordo, che tacque in modo imbarazzante.
“Jonas stai bene?” sentì la voce lontano anni luce.
“BATTITO IRREGOLARE…” iniziò il drone.
“Sì” disse, spingendo via la cameriera, che con un tonfo batté contro il mobile.
Hors lo rimproverò con lo sguardo
“Che c’è?non provano dolore” si giustificò.
La sala era arredata in vecchio stile: niente poltrone ad elio o capsule massaggianti, un vecchio divano in tessuto e un pianoforte. Al centro della sala però una modernissima poltrona per disabili avvolgeva Martha, che intenta a rimirare un movie, non si accorse di loro, immersa in quella che in gergo veniva chiamata seconda realtà.
“Disattivati” disse piano Hors, gli attori, che si struggevano nel loro salotto, sparirono, così come il vecchio treno dietro alle loro spalle. Martha girò lo sguardo un po’ disorientata poi la sua voce parlò dall’impianto audio della casa:
“Nathan!” lo salutò senza muovere le labbra, e Jonas rabbrividì al ghigno che comparve su metà del suo viso, mentre l’altra metà rimaneva inespressiva, floscia. “Siediti un attimo caro” disse ancora la voce. Era così alienante vedere lei immobile in quella poltrona e la sua voce aleggiare nell’aria, lontana dal proprio corpo.
 “Ho bisogno di sdraiarmi” Hors baciò sua moglie sulla fronte, poi fece cenno al drone di seguirlo e a Jonas non rimase che rimanere lì impacciato a guardarsi intorno.
“Ti vedo meno nervoso, meno rabbioso dell’ultima volta. Pannello A2 per favore”
Dal basso tavolino di resina opalescente fuoriuscirono dei pasticcini e un tè fumante. Jonas, improvvisamente grato per il ristoro, si fiondò sul cibo.
“Lei non è più venuta a trovarmi” disse poi la donna.
Un boccone andò di traverso e Jonas si fermò a fissarla, istantaneamente un’immagine, ancora quel salotto, ancora loro, ma l’aria tesa si percepiva da ogni respiro.
“Non voglio discuterne, tantomeno qui” la sua voce era dura e scocciata, non poteva vedere il proprio volto, quelli erano ricordi suoi, almeno credeva.
Lei tacque, scossa.
“Emma” disse, e di colpo quel nome tornò alla mente, come fosse sempre stato sulla punta della lingua. “non ne voglio sapere”
La scena cambiò, ma era al contempo la stessa: vide se stesso venirgli incontro, ora dalla visuale di Hors, gli diede una forte spallata ed uscì sbattendo la porta.
Ora Emma piangeva, il volto nascosto tra le mani. La sua finestra sulla scena si avvicinò senza parlare, vide comparire un fazzoletto sulla mano, la mano di Hors.
“Non ti manca?”
La voce di Martha sembrava insinuarsi nei meandri del suo animo.  “È tutta colpa di quel chip” aggiunse la voce. Ma Jonas la guardava senza capire più nulla:
“Cosa dicevano? Cosa stavano dicendo?” chiese, come se potesse leggergli nel pensiero. Silenzio. Nathan non osò chiedere di più.
“Vorrei fare una doccia, trovo l’occorrente da solo” disse. Socchiuse gli occhi alla ricerca dei ricordi giusti, stava imparando a gestire questa nuova cosa. Si diresse deciso alla seconda porta nel corridoio, salendo le scale.
Qualcosa lo fece svegliare, la riconobbe ancor prima di aprire gli occhi: era la sua mano poggiata sulla guancia. Non seppe reprimere un sorriso. Lo fissava seria, Jonas temette una sfuriata. Ritrasse la mano, ma lentamente, fissandolo.
“Mi dispiace” disse semplicemente. “Non sono sempre stato così stronzo vero?”
Finalmente lei sorrise, scosse la testa e Jonas notò che piangeva. Gli si buttò al petto e prima che potesse formulare un qualsiasi pensiero coerente lo baciò. In un attimo milioni di momenti come quello, eppure diversi, affollarono la sua mente. Baci della donna che aveva amato e perduto, sensazioni che aveva creduto perse e che ora vorticavano nel suo animo spezzettato.
L’amò con tutta la passione di una prima volta, ma con la consapevolezza e la disperazione di un’ultima.
“Non ricordo ancora tutto, ma so che ti amavo, e che provo ancora qualcosa di indelebile per te Emma” le disse più tardi, i loro corpi abbracciati in quello sgabuzzino, come clandestini.
“Lo so” commentò lei sfiorandolo di piccoli baci sul petto.
“Devo andare alla Braintec, lì ci sono le risposte” disse poi riscuotendosi e alzandosi di scatto.
“Ho qualcosa per te, qualcosa che volevo darti quando fossi tornato in te stesso”
“Non sono ancora me stesso, non del tutto”
“Lo sei molto più che negli ultimi mesi prima dell’incidente” sorrise lei alzandosi a sua volta.
Posò ancora lo sguardo avido sul suo corpo perfetto, ricordandosi solo allora delle sue gambe sintetiche. Si sbrigò a coprirsi, ma lei lo fermò.
“Nathan?”
Lui la guardò imbronciato.
“È stato bello” disse arrossendo lievemente.
Il suo sorriso rischiarò il suo umore.
“Ecco” gli porse una valigetta. Lui l’aprì evi trovò un dispositivo di memoria esterna.
“È tuo, te lo avrei dato, ma non eri pronto”
Posizionò i sensori alle tempie e si preparò a cercare qualcosa d’interessante tra i dati. Aprì la mail che aveva dimenticato di avere. Ce ne era una che attirò lo sguardo: era datata 1/9/2090 Alla stessa ora dell’incidente. Era della dottoressa Hors. Una cartina. La braintec aveva tre laboratori clandestini, poi c’erano le abitazioni del proprietario. Cinque: tre in città, una a Newmiami e l’ultima a Coldlake. Nessun testo.
Attivò istantaneamente la chiamata: “Hors ti passo a prendere tra due minuti, se c’è ancora speranza che sia viva so dove trovarla”.
Non aveva altre possibilità, se avesse fallito avrebbero diramato l’allarme e fatto sparire la Hors, sempre che fosse ancora viva
 ……
coldlake era silenzioso e isolato, i tre avanzavano, pistola alla mano tra fitte canne. Gli occhiali termici rivelarono la presenza di un unico uomo. Dopo tutto quel tempo i controlli erano scemati, cercò di convincersi Jonas. Sperò con tutto se stesso che il motivo non fosse il più ovvio: non c’era più nulla da controllare.
“Andiamo!”
Fecero irruzione: un ubriacone, una dottoressa e un invalido. L’uomo fu atterrato immediatamente dal colpo preciso dell’agente anziano, che sembrava ringiovanito.
Perquisirono la casupola, nulla, Jonas stava per dichiararsi sconfitto quando udì leggeri colpi sotto di lui. Percorse avanti e indietro il pavimento di legno, poi iniziò a dare colpi con il piede: “qui!” si accucciò e tirò fuori una lama laser, di quelle per il campeggio. Un attimo dopo la vecchia botola scattò e una luce artificiale illuminò il suo volto. Scesero e si trovarono in un laboratorio lindo, moderno e quasi accogliente. Hors crollò in ginocchio piangendo di gioia, mente la figlia lo abbracciava tra i singhiozzi. Jonas sentì il sangue colare dalle narici. Si sedette su un divanetto e aspettò che i giramenti di testa passassero.
La ragazza lo guardò riprendendosi subito:
“Non pensavo fossi ancora vivo, hai il chip?”
“No, me lo hanno tolto, ma non ricordo nulla e non mi sento molto in forma a dire il vero” come in risposta alle sue stesse parole vomitò.
“È colpa mia, gli ho inserito i mei ricordi per smuovere la memoria ed arrivare a te” piangeva ancora, come un bambino.
“Il chip corrode lentamente l’amigdala e parti delle aree associative del lobo temporale, l’idea era che si sostituisse ad esse per incrementare la capienza dei ricordi. Ma pare che il cervello si difenda rigettandoli”
“Ma io non ho più il chip”
Emma gli tamponava il naso, preoccupata.
“Andiamocene, prima che scatti qualche sistema di allarme, riuscì a dire Jonas, si alzò barcollando e seguì gli altri.
…..
Aprì gli occhi, ancora l’ospedale, ma sorrise vedendo lei al suo fianco.
 “Sembra che il chip abbia corroso anche l’ippocampo e che il processo innescato sia irreversibile: il tuo cervello sta attaccando se stesso” disse.
E Jonas si domandò cosa diavolo ci fosse da sorridere.
“Abbiamo una soluzione” disse finalmente, accarezzandogli la fronte. Lui alzò un sopracciglio in segno di domanda.
“Nostro figlio” disse in un soffio.
Jonas si alzò di scatto:
“Io, io mi dispiace”
“Lo so, l’ho perso dopo il tuo incidente: troppa paura di perderti”
 “Non ti ho chiesto io di abortire?” sembrava liberato di un peso enorme.
Lei scosse il capo, gli occhi lucidi. Non avrei potuto, eri cambiato e mi hai detto che saresti uscito dalla mia vita e dalla sua, per proteggerci. Non sapevi cosa ti sarebbe successo.
La Hors intervenne bruscamente: “Non è un’operazione semplice e dobbiamo tentare prima che la situazione peggiori”
Jonas guardò senza capire.
“L’embrione è conservato, come da procedura standard e ha il 50% del tuo DNA, ed un cervello in forma primitiva, pronto ad adattarsi e crescere legando con il tuo. Avrai ancora infiltrazioni della vita di mio padre e buchi di memoria, ma potrebbe funzionare. Potrai forse riavere i tuoi ricordi, ma soprattutto non rischierai di divenire un vegetale.
Jonas sentì stringere forte la mano e per la prima volta, da quando si era svegliato in quello stesso letto sapeva chi era e cosa voleva, era felice: