Ippolita non è una blogger, è una regina. Il suo regno
della Litweb è un progetto cavalleresco per dare spazio ai libri che le
piacciono, all'amore per l'arte, per la lettura, per il teatro: uno spazio che
ama creare anche nel mondo reale. In questi giorni è a Roma per ricevere come
blogger letteraria il Premio Radio Libri: il podcast della sua intervista è
stato il più ascoltato.
Sabato 10 dicembre alle 12 sarà nella sala Ametista
della Mostra Più libri Più liberi, assieme alle storie che ha amato in questi
anni.
Benvenuta e grazie per
aver accettato questa intervista. Chi sei nella vita di tutti i giorni?
Nella rappresentazione letteraria del personaggio,
regina vien da sé, visto il nome che ricorda quello della regina delle
Amazzoni, donne mitologiche e guerriere. Il
sostantivo riguarda tutte le donne, regine del focolare, secondo la classica
iconologia, oppure regine nelle canzoni, come ne "La Chimera" di
Moustaki. Io uso "regina" nel significato irridente verso il
contesto. Nulla di più lontano dal termine, che comunque riguarda il titolo del
blog. Nella realtà sono lontana dal personaggio, essendo io una persona vissuta
ai margini, nel nulla di un luogo inospitale, quanto la Recanati per Leopardi.
Una persona quindi senza stemma e decorazione e non facile da mettere in
casella.
Che posto hanno i
libri nella tua vita?
Proprio perché il nulla è troppo doloroso da subire e
la voglia di elaborare paesaggi e situazioni invece resta fortissima, i libri mi
sono compagni fedeli fin dalla prima infanzia e adolescenza, e poi via via mi
hanno accompagnato fin sulla soglia di una senectus,
di una vecchiaia che mi auguro abitatissima.
Perché hai deciso di
aprire un blog letterario?
Io non ho deciso nulla, tutto succede per caso, per stranissime
strade che si sono incrociate. Come nel libro di Laborit Elogio della fuga a un certo punto, quando nella tempesta la nave
non sa più dove andare, allora una rotta mai prima affrontata ci porta per lidi
sconosciuti. Ero quell’anno, nel 2012, su un sito letterario, e fui bannata
come troll: mi indignavo sulla cortigianeria e sull’uso di siti letterari per
nascondere seduzioni e altri giochi, devastanti per alcuni. Appena bannata ci
fu chi mi aprì il blog, lo ripeto sempre, regalandomi la felicità.
Dici sempre che il tuo
non è un blog ma un regno. Perché?
Da subito mi sembrò un paese, il paese inventato del ricordo,
il paese della relazione, della mia mente. Come nel libro di Pippo Russo (Memo) esiste una Oblivia:
Oblivia è un luogo
incantato. Vive immerso in una natura d'irreale bellezza, lontano dal mondo e
in un tempo senza tempo. La gente di Oblivia non conosce altri che la gente
d'Oblivia, e in quell'angolo di paradiso la vita è un costante ripetersi del
quotidiano, attraverso i riti di una comunità che ha saputo conservarsi uguale
a se stessa senza sapere cosa fosse l'Altro.
Così a me il blog, come un diario, sembrò un giornale,
un luogo, il luogo che nella realtà non era mai stato concesso, ed essendo mio
avrei potuto regnare, nel senso di esserne responsabile e di popolarlo di
autori, di libri, di film, di pittura, di ciò io creda faccia bello il vivere.
Qual è il genere che
preferisci leggere e recensire?
Ho letto di tutto e non ho in effetti letto niente, mi
trovo sempre impreparata nei discorsi sulle correnti letterarie e sul romanzo.
Non credo nei generi, forse nei colori, giallo, rosa, noir. Ho letto moltissimo
per anni, ho letto, dico sempre, scherzando ma è vero, anche il cartone dei
detersivi, poi, appena ho imparato il pc, sui siti letterari, quindi autori che
mai pubblicheranno. Ho letto i classici e la letteratura russa, i francesi,
Maupassant che amo, e ho letto In Fine
di Shabtai Yaakov, il testamento di una vita. Mi affido all’intuito, al caso.
Quando leggi un libro,
cerchi di goderti i pregi o vai in cerca dei difetti?
Con un libro ho un rapporto vivente, di simpatia e
antipatia, di noia o di piacere, di rifiuto e nausea oppure di amore
incondizionato. I difetti a volte mi procurano dolori fisici, mal di stomaco
assicurato e quindi lascio alle prime avvisaglie nel libro ci sia falso, la
storia non stia in piedi, ci siano troppi diminuitivi, leziosaggini, frasi da
baci perugina. Se il libro mi piace divento quasi una stalker, lo consiglio a
tutti, ci scrivo su e vorrei che tutti potessero gioirne della lettura. Come
facevo a scuola con i miei alunni ai quali portavo i testi da casa e loro leggevano
Calvino e sentivano quanto io lo amassi. Con Carte scoperte di Walter Pozzi, ultimo libro recensito, è stato
amore ed ancora non ho letto altro.
Ti è mai capitato di
recensire un libro che non ti piaceva?
Spessissimo mi succede che dovrei recensire scempiaggini.
Me la cavo asserendo di non scrivere alcunché, confermando che non faccio
recensioni, che non saprei proprio. Alcune volte poi faccio dire all’autore stesso
che il suo libro non è granché. Estrapolo frasi da lui scritte dove si evince
la negatività. Tempo fa una scrittrice mi ha fatto cancellare la recensione al
suo supposto libro. Una volta feci una recensione benevola a un libro che mi
aveva annoiato. Subito mi venne un gran malessere, un mal di testa persistente e
solo quando alla fine aggiunsi che nel libro c’era un solo tono narrativo, cioè
mono-tono, allora mi tranquillizzai. Non potrei fare recensioni delle quali non
sono convinta, pena malessere fisico mio.
Cosa è cambiato in
peggio, nell'editoria degli ultimi anni?
La grande concentrazione dei gruppi editoriali in mano
a un solo padrone mi sembra abbia creato un mostro, d’altronde vedo moltissime
belle realtà nella piccola e media editoria.
Siamo davanti ad una trasformazione epocale, un
cambiamento di mezzi e di modi, velocissimo, siamo già Oltre il giardino di Jerzy Kosinski ed ognuno può essere Chance.
Anche Chance, il timido giardiniere, può essere consultato. Saprà, mi chiedo io, una editoria più o meno
variegata, interpretare lo spirito del tempo? Non so, me lo auguro.
Cosa è cambiato in
meglio?
In meglio credo ci sia questa opportunità di fare
intervista, di conoscerci oltre gli strumenti soliti delle relazioni fra
addetti, di scrivere su blog e di animare circoli letterari, di poter far parte
di un fermento che ci dimostra quanto sia impetuosa e viva la voglia di
raccontare.
Spesso ti lamenti che
si fa cultura per finta. Cosa contraddistingue le iniziative che fanno cultura
per davvero?
Facciamoci la domanda su cosa sia vero o falso. Ed io
ti rispondo che vedo molto falso. Falsa la maggior parte degli avvenimenti
spacciati per culturali, falsi i premi (noi addirittura ci facciamo un gioco
sui premi), falsa la produzione, e una enorme falsità tutto avvolge. Nel mio
post recente scrivo: "Ricchezza e
cultura: il respiro che non c'è.
Valanghe di soldi sulla cultura arrivano dagli enti
proposti. Valanghe benefiche nelle tasche dei dirigenti, di dirigenti e
animatori addetti. Valanghe culturali che poi diventano rivoli sempre più
piccoli quando giungono a dover pagare gli artisti che stanno con il cappello
in mano, con la mano tesa a chieder mercede. Ricchezza si sposa con ricchezza
da sempre, e ora perché dovrebbe far eccezione? Ricchezza si sposa e vuole al
suo matrimonio il canto di menestrelli educati, i quadri e i ninnoli per far
bella la festa, il cibo del cuoco che sia di nome acclarato, il vestito e gli
invitati tutti abbinati. Respiro non c'è, c'è solo la festa. Ricchezza e
cultura si mettono in macchina e partono insieme in viaggio di nozze. Evviva
gli sposi. Un matrimonio deleterio". Angelo Maggio, fotografo del non
finito calabro e Francesco Lesce, professore all’Unical, ti saprebbero
rispondere con dati alla mano su ogni iniziativa "finta" in Calabria.
Io mi limito a dire che ora cultura è
affari.
Tu hai saputo
segnalare negli ultimi anni molti debutti che si sono rivelati sorprendenti:
secondo te cosa occorre a un libro oggi per distinguersi in un mercato così
affollato?
Un libro deve essere vero. Questo è l’imperativo
categorico dello scrittore quando ha in testa di scrivere, non può prendere in
giro il lettore. Questa mia fissazione sul vero e sul falso mi riporta a Boezio,
però ognuno di noi ha una sua misura. Io misuro sul vero. Posso sbagliare, di
sicuro, mi succede di dare ragione anche a chi critica un libro che a me sembra
vero. Ricordo le discordanze di opinioni su Crocifisso Dentello, sia con Nicola
Vacca che con Antonio Russo De Vivo, recensioni e idee diverse che accetto,
eppure, anche se penso validi punti di vista discordanti, parto sempre dalla
sincerità con cui sia stata scritta una storia. Lo stile, il ritmo, il
linguaggio sono lo strumento con cui una storia raggiunge il suo inverarsi nel
libro.
Anche gli incontri con gli esordienti mi sono capitati
per caso. Mi fa piacere ricordare l’arrivo questo anno di Francesco Borrasso La bambina celeste, sono stata la prima
a leggerlo e a far recensione positiva e poi è andato benissimo, Fabio Ivan Pigola con La forma fragile del silenzio e in tempi lontani quel libro
bellissimo di Francesca Marzia Esposito, La
forma minima della felicità; Adieu
mon coeur di Angelo Calvisi, che ha
vinto il premio “Il libro nel cassetto”. Ogni loro vittoria è come se avesse
vinto tutto il regno della Litweb, essendo stata io a crederci per prima. Potrei continuare fino a Dodici posti dove non volevo andare di Clara Cerri che è stato
premiato… ma questo lo sai.
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