Ho raccolto qui qualche bell'estratto dal gruppo facebook 'scrittori e lettori on line' spero che voi lettori troviate qualcosa d'interessante, che sia nelle vostre corde: ce n'è per tutti i gusti!!!
Inizio con un estratto inedito da Phoenix persecuzioni, un punto di vista insolito, molto distante da quello di Leila o Clay a cui siete abituati........
Una lunga fila di letti, tutti con le coperte color fango, tutti ben rifatti, senza una piega. Questo ricordo ha iniziato a torturarmi nei sonni agitati, che provo a concedere al mio corpo esausto.
Otto letti da una parte, otto dall’altra, la prima immagine che mi accolse all’arrivo nell’orfanotrofio. Gli occhi colmi di lacrime, l’orsacchiotto spelacchiato stretto al petto e nessuna valigia. Questo l’inizio della mia nuova vita. Mi sfugge ancora il ricordo del perché è successo, tutto è nebuloso, conficcato così in profondità nella mente, che non riesco a recuperarlo del tutto. Il fumo, quello sì lo ricordo, un fumo denso, scuro, che avvolgeva tutto e il silenzio, un silenzio completo, terrificante, che non lasciava spazio a null’altro. Il silenzio assoluto di chi è sordo dopo un boato troppo potente. Mi tengo la testa tra le mani, non riesco, non riesco a ricordare, non voglio ricordare, ma ormai sento che devo.
Letti, letti ordinati, lisci e squadrati come grosse scatole rettangolari. Letti vuoti, ma che si sarebbero presto riempiti con l’ora giusta di una marea di disperazione umana, addolcita da sogni e speranze dell’età infantile, ma pur sempre disperazione.
E iniziò la guerra: guerra per accaparrarsi più cibo, guerra per avere le scarpe del numero giusto, per i vestiti meno bucati e stretti e persino per catturare l’attenzione delle Sorelle. Seppur acide galline dalle mani lunghe, pronte a pizzicarti, strapparti i capelli o bacchettarti il culo, erano eterna causa di contesa e lite per avere uno sguardo o una carezza. Poi c’era il discorso genitori. Lì, sì, scattavano discussioni, c’erano veri e propri comizi la notte.
«Tu sei troppo grasso, tu troppo alto, tu troppo grande» ce n’era per tutti, nessuno sembrava al sicuro e quelli che parevano avere tutti i requisiti erano presi di mira e gli veniva fatto di tutto.
Ricordo ancora la piccolina, Sonja si chiamava: grandi occhi blu dalle lunghe ciglia, boccoli biondi e labbra che sembravano di porcellana. Aveva sui quattro o cinque anni, sarebbe stata portata via subito da un fantastico papà e una mamma dolcissima, lo sapevamo tutti. Così già la prima notte l’acchiappammo dal suo lettino, il mio amico Pugno aveva rimediato un rasoio, le tagliammo tutti i boccoli. Non strillava, lo prese come un gioco, le dissi che Pugno era parrucchiere e lei se la rideva come un’ebete. Io avevo preparato un impasto con la buccia verde delle noci, cardi e altre robacce. Gliela passammo sulla faccia, sarebbe durata a lungo: un bel maschietto africano sembrava. Passammo una settimana nello sgabuzzino delle punizioni, acqua e pane e buio completo, ma lei non la presero per lungo tempo e ci sentimmo malignamente felici.
Rido a quel perfido ricordo, poi sento le lacrime, scoppio a piangere. Non è da me, sto male, ne morirò, lo sento, non posso più tornare indietro, posso solo andare avanti, andare avanti col mio piano.
Qualche volta, ma non troppo spesso per non logorare il ricordo, pensava alle voci che aveva sentito attraverso il muro, una notte passata in facoltà. Faceva caldo, era sdraiato sopra il tavolo della biblioteca, infilato a metà nel sacco a pelo. Ernesto e Ilaria si erano chiusi nell'auletta accanto e stavano cominciando i loro giochi senza immaginare che di là del muro si sentiva tutto, lui parlava, parlava, commentava le bellezze e i capi di vestiario come se non sapesse eccitarsi senza la radiocronaca, la voce appena spezzata dal respiro più forte, mentre nelle risate e nei sospiri di Ilaria si sentiva come un tremore, una sopraffazione, si sentiva l'attesa, il desiderio che cresceva.
Antonio cercava di fare finta di niente, ma poi tendeva l'orecchio e quasi senza volerlo, il cuore che batteva forte fino a sentirsi nelle tempie, associava un'immagine e una carezza a ogni rumore
«Hai qualche idea riguardo al tatuaggio?» Chiese Vanadis al ragazzo.
Lui si guardò intorno, poi disse: «Prima di entrare nel tuo negozio un’idea l’avevo, ma vedendo quelli che tu hai addosso e tutti quelli sparsi un po’ ovunque, sono andato in confusione e adesso sono molto indeciso…»
«Dimmi che cosa avevi in mente, così possiamo partire da qualcosa di concreto» rispose Vanadis guardandolo in viso con aria inespressiva.
Il ragazzo riprese il discorso: «Beh ecco, avevo pensato che…»
«Prima di tutto mi devi dire in quale parte del corpo lo vuoi il tatuaggio» lo interruppe bruscamente Vanadis.
«Ah, di quello sono sicuro, lo voglio qui» disse lui indicando la parte superiore del braccio destro, vicino alla spalla. Poi si guardò intorno e vide un disegno appeso al muro, esclamando tutto soddisfatto: «Questo! Ecco che cosa mi piace. Avevo proprio visto una cosa simile e la mia idea era questa!»
Vanadis, che nel frattempo si era accesa una sigaretta, aspirò una boccata di fumo e gli chiese: «Sei gay?»
«Perché me lo chiedi?» Rispose il tipo con aria perplessa e preoccupata.
«Perché da queste parti il tatuaggio che hai scelto va di moda fra i gay. Io te lo faccio, ma poi non tornare indietro a lamentarti, dicendomi che sei stufo di sentirti fare proposte oscene da persone del tuo stesso sesso mentre vai a spasso per la città…»
Ciao a tutti!
Ecco un breve estratto del mio "Ritratto di un Angelo" 💖
...Mi attira a sé, facendomi affondare il viso nel suo petto. Profuma di buono, e ora davvero non ho più scampo. Tra le sue braccia l’intero mondo scompare. Il mio corpo si accende, il cuore batte più forte ed è come se riconoscesse l'altra sua metà. Come quando finalmente dopo una lunga attesa arriva chi non ti stancheresti mai di aspettare. Alzo piano lo guardo per imprimere nella mia mente ogni dettaglio di lui...
"Ritratto di un Angelo"💖
"I colori vivaci che puoi trovare a Città dei Sogni e a Paese Sogni d'Oro, qui a Periferia Dormiveglia si spengono.
Gli abitanti hanno la pelle bigia e i colori dei vestiti sono sbiaditi.
La Periferia non è un luogo molto raccomandato, tutti lo descrivono come un posto triste, dove gira gente brutta e losca, pronta ad accalappiare bambini e ragazzini per cuocerli in uno sporco calderone nella loro buia e tetra casa."
Trama: Arianna vive a Città dei Sogni e adora sua sorella Alice, una bambola di porcellana capace di parlare e pensare come un essere umano che suo padre ha costruito per lei quando era ancora una bambina. Un giorno Alice scompare misteriosamente, suo padre non le dà alcuna spiegazione e non sembra interessato a cercare la sua sorellina, ma Arianna non si dà per vinta: assieme ai suoi amici Lea e Leo e al suo pupazzo di infanzia il Signor Bianconiglio, decide di partire alla ricerca di Alice; per farlo dovrà attraversare il caos di Paese Sogni d’Oro, il grigiore di Periferia Dormiveglia, la Discarica dei Ricordi e il Distretto Risveglio. Arianna dovrà capire da sola qual è la strada giusta da seguire: dare retta al Dottor Z, un individuo mascherato, vestito da prestigiatore che cammina sui trampoli e che sembra sapere tutto di lei o fidarsi dei consigli del Signor Bianconiglio? Arianna non lo sa, ma l’unica cosa che può salvarla è trovare una risposta alla domanda: “dov’è Alice?”
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(l'immagine usata non mi appartiene, è stata presa da questo sito.
Osservo altre persone, bambini della mia età che camminano con accanto un’Alice. Sono bambole che dimostrano dai dieci ai quattordici anni e il compratore medio è il genitore che vuole trovare un compagno di giochi per il figlio o la figlia. L’Alice sembra in tutto e per tutto un essere umano, fatta a eccezione per la pelle di porcellana: parla, gioca, mangia, dorme… il suo obiettivo è quello di fare compagnia al suo “padrone”[...]"
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Buonasera amici del gruppo
ecco un estratto del mio ultimo romanzo edito self ''Io sono Fuoco... brucia con me se hai coraggio!'' genere m\m pagine 698 - v.m 18
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Jason si fermò nei pressi del monastero indicato da Patrick, si rese conto che in effetti era un posto isolato. C’erano posteggiate alcune auto e si vedevano in lontananza alcuni ragazzi. Patrick aveva accennato che era anche un liceo attrezzato a convitto, c’era persino una palestra e sala adibita alla biblioteca. Insomma un mini college cattolico di campagna.
Il ragazzo inserì il freno a mano e si dedicò ad osservare un panorama che sicuramente era molto più interessante. Quel bel biondino che aveva accanto meritava tutta la sua attenzione. Lo vide fissare preoccupato il vecchio monastero.
Nella sua mente non c’era l’ombra di un idea. Non immaginava nemmeno lontanamente il motivo di quella strana trasferta. Forse aveva davvero bisogno di espiare qualche peccato? Qualche crimine? Pensò guardandolo. Lo eccitava come una bestia l’idea che quel viso d’angelo in realtà l’avesse combinata grossa. I suoi modi gentili, educati, i suoi lineamenti indicavano un angioletto e non un demonio come invece si sentiva lui. Avrebbe voluto portarlo nella radura vicina e farselo alla faccia dei monaci. L’ avrebbe preso senza pietà da dietro e fatto gridare di piacere. Magari mentre passava uno dei giovani monaci … chissà si disse ridacchiando nella sua mente contorta se quei pretini avrebbero voluto essere sodomizzati anche loro e i rispettivi culetti vergini. Ma si scrollò dalla testa quei pensieri perversi anche se divertenti.
Era la prima volta che uno gli piaceva in quel modo.
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Jason Hotfire è un giovane sfrontato, senza inibizioni. Ha ventidue anni e lavora come cameriere . Lui è sicuro di se della sua bellezza e del suo fascino. E' alto, moro , palestrato con due occhi verde chiaro, adora fare la bella vita. Ha un…
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Estratto da "Facemmo l'amore una notte di maggio".
Pazzo! Quel Lorenzo doveva essere veramente un pazzo, se aveva deciso, senza una valida ragione, di lasciare una ragazza bella come Natalia-davvero continuava a pensare che Natalia fosse bella?-. Que-sta era l'idea complessiva che il signor Nicola Mastrogiovanni si era fatto di quella faccenda. Gli montava una collera incredibile in testa, che gli veniva da dentro, dalle viscere. Sentiva un forte bruciore allo stomaco e all'esofago, come se avesse ingurgitato di botto una quan-tità non indifferente di alcool. Sentiva caldo, ma si rendeva conto che l'aria, fuori, era alquanto fresca. Era sudato. Sudato sulla fronte, su-dato sul collo, sudato sotto le ascelle, tutto sudato. Non aveva com-piuto alcuno sforzo fisico. Il sudore gli veniva tutto quanto da dentro, per la rabbia, per l'agitazione.
Entrò nell'albergo. Fortunatamente a quell'ora-in realtà non era poi così tardi-il signor Spadone non si trovava alla sua scrivania. La chiave, il signor Nicola Mastrogiovanni, se l'era portata appresso. Sa-lì rapidamente le scale e giunse alla sua camera. Nel frattempo conti-nuava a sudare e ad adirarsi contro Lorenzo. Infilò la chiave nella serratura e aprì la porta. Entrò in camera. Probabilmente aveva fatto più rumore delle altre volte, ma non era dell'umore adatto per pensare al fatto che avrebbe potuto svegliare qualche eventuale ospite nelle camere accanto.
Entrando, si buttò di pancia sul letto, che cigolò. Anche quello, a-vrebbe potuto disturbare, ma Nicola Mastrogiovanni continuava a non porsi il problema. Rimase così per qualche minuto, con il naso sul cuscino. Continuava a sudare e, soprattutto, a pensare. Poi si girò e dopo poco si alzò. Si moriva di caldo in quella camera, forse era il caso che aprisse la finestra. Dopo averla aperta, andò a sedersi sul letto. Prese un pacco di fazzoletti che aveva lasciato sul comodino. Ne estrasse uno. Cominciò in quel modo ad asciugarsi il sudore. Pri-ma la fronte, poi dietro le orecchie, poi il collo e le spalle. Così, a mente più lucida, ragionava.
Lorenzo doveva essere un pazzo. Quello era poco ma sicuro. Federi-co era convinto che lui, in realtà, non avesse lasciato Natalia. Quest'ultima, invece, la pensava diversamente e, come lei, la pensava
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anche il signor Nicola Mastrogiovanni. Posto per buono, quindi, che Lorenzo non sarebbe tornato da Natalia, cosa significava, material-mente, questo? Che Natalia era libera. Chi, a quel punto, avrebbe po-tuto combinare qualcosa con lei? Prima di tutto, pensò Nicola, pro-prio Federico. In quei due giorni in cui li aveva osservati, a Nicola era parso che il rapporto tra Federico e Natalia fosse piuttosto ambi-guo, specie da parte del primo. Forse lui nutriva un amore non ri-cambiato per la ragazza che, fino a pochi giorni prima, era impegna-ta. Con la scomparsa dalla scena di Lorenzo, Federico avrebbe potuto approfittarne.
C'era qualcun altro, oltre Federico, a poter avanzare pretese di que-sto genere?
Il signor Nicola Mastrogiovanni fu sorpreso dalla risposta che si diede.
C'era lui, proprio lui.
Natalia era una ragazza bellissima. Aveva sentito molti mesi prima, quando sua madre era ancora in vita, una storia narrata da un profes-sore di greco che era entrato nella sua tabaccheria. Il professore par-lava con un ragazzo che non faceva studi classici. La storia era que-sta. I greci erano convinti che esistesse una corrispondenza tra la bel-lezza esteriore di una persona e la sua bellezza interiore. Bella fuori, bella dentro, insomma. Era anche per questo motivo che Efialte, il pastore greco che tradì Leonida nella celebre battaglia delle Termopi-li, era entrato nella mentalità greca comune come uno storpio. In re-altà, nessuno l'aveva mai visto, né Erodoto, il principale storico di quell'epoca, l'aveva mai descritto.
Lei gli piaceva, cominciava ormai a capirlo. Ma cosa avrebbe fatto con la sua vita precedente? Aveva una casa in una città molto distante da Bari. Cosa ne avrebbe fatto? Aveva una tabaccheria che andava bene, nella stessa città. Quale destino avrebbe dovuto riservarle? E tutte queste cose, eventualmente, a Natalia, quando le avrebbe dette? Ma in quel momento preciso, si disse Nicola Mastrogiovanni in un attimo di vera lucidità, tutte quelle domande non avevano senso. Co-sa sapeva, lui, davvero, di Natalia? Nulla, se non che era una ragazza che, fisicamente, lo attraeva tantissimo. E lui non aveva mai provato una simile attrazione per un'altra donna. Non ne era innamorato-vero,
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non ne era innamorato?-, avrebbe voluto scoprire ancora qualcosa su di lei. Sotto quest'ottica, cambiò anche rapidamente l'idea che il si-gnor Nicola Mastrogiovanni si era fatto di Lorenzo. Meglio che si fosse levato dalle scatole. E meglio ancora che non ritornasse. Già.
Il signor Mastrogiovanni si addormentò, quella notte, con quel pen-siero.
Meglio che non ritornasse.
Il paziente era pallido, un pallore innaturale che dipingeva tutto il suo corpo, come appariva dal collo e dalle mani estremamente chiare. Il volto era ossuto e mal si abbinava con la barba trasandata di qualche giorno. Qualche ciocca di capelli aveva abbandonato le altre, lasciando l’uomo stempiato.
«Lei è uno stolto. Erano gli Dei a parlare per me. Io non so cosa le ho raccontato. La mia lingua, la mia bocca, il mio corpo tutto è in possesso degli Dei.»
Danari fissò il suo capo con sguardo interrogativo. In realtà, c’era anche una nota di rimprovero. Il paziente si stava comportando in maniera del tutto diversa rispetto al resoconto fatto dal primario.