Ed eccomi tuffata in un'altra avventura: un blog a tre mani (Per ora),il momento di scrivere con Giuseppe Monea e Giovanni Carioli in cui si parla di SCRITTURA e tutto ciò che ad esso è correlato. Veniteci a trovare!
Ed ecco il mio primo articolo nella nuova rubrica tutta mia! che emozione!
PRIMI PASSI. DALLA BOZZA AL ROMANZO
Quasi due anni fa, nelle notti insonni della gravidanza prima e delle pappe notturne poi, non so cosa è scattato esattamente in me, ma mi son trovata a dirmi: “perché no?” ed ho preso la penna in mano, sì esatto proprio penna e taccuino, niente computer all’inizio ed ho buttato giù quel che mi passava per la testa, tanto per tenere la mente sveglia invece di girarmi e rigirarmi nel letto.
All’inizio era un’idea, una trama impalpabile intermezzata da dialoghi che mi piacevano o spunti ancora grezzi, molto grezzi. E sono andata avanti così fino a ritrovarmi tra le mani una storia che viveva di vita propria, un lungo racconto… un romanzo. Ho riscritto al pc, cercando di organizzare in capitoli, la storia, poi ne sono nati altri direttamente creati a suon di tastiera, la penna è stata abbandonata e il lavoro ha preso forma. ‘E così hai finito’ direte voi, no, avevo appena iniziato…
Ho girovagato per il web alla ricerca di consigli, sull’impaginazione prima e sulla struttura poi, scoprendo sempre più cose, sentendomi sempre meno brava e sempre più desiderosa d’imparare.
Quello che vorrei fare per voi oggi è racchiudere in questo spazio quelli che per me sono risultati essere consigli utili, quelli che mi han portato ad ottenere il risultato (quasi) finale, e dico quasi perché più ci si mettono le mani più si scoprono cose da perfezionare.
In questa mia rubrica scriverò, un articolo alla volta, quello che si può estrapolare dalla mia esperienza, sottolineando che sono consigli basati su ciò che è stato utile per me, su cui magari qualcuno può non essere affatto d’accordo.
Questo quel che ho imparato, lo metto a vostra disposizione.
All’inizio era un’idea, una trama impalpabile intermezzata da dialoghi che mi piacevano o spunti ancora grezzi, molto grezzi. E sono andata avanti così fino a ritrovarmi tra le mani una storia che viveva di vita propria, un lungo racconto… un romanzo. Ho riscritto al pc, cercando di organizzare in capitoli, la storia, poi ne sono nati altri direttamente creati a suon di tastiera, la penna è stata abbandonata e il lavoro ha preso forma. ‘E così hai finito’ direte voi, no, avevo appena iniziato…
Ho girovagato per il web alla ricerca di consigli, sull’impaginazione prima e sulla struttura poi, scoprendo sempre più cose, sentendomi sempre meno brava e sempre più desiderosa d’imparare.
Quello che vorrei fare per voi oggi è racchiudere in questo spazio quelli che per me sono risultati essere consigli utili, quelli che mi han portato ad ottenere il risultato (quasi) finale, e dico quasi perché più ci si mettono le mani più si scoprono cose da perfezionare.
In questa mia rubrica scriverò, un articolo alla volta, quello che si può estrapolare dalla mia esperienza, sottolineando che sono consigli basati su ciò che è stato utile per me, su cui magari qualcuno può non essere affatto d’accordo.
Questo quel che ho imparato, lo metto a vostra disposizione.
1 SCRIVERE, SCRIVERE, SCRIVERE
Come faccio a creare una storia? Come posso evitare di bloccarmi? Come mi verranno tutte le idee necessarie?
Risposta?
Scrivere, scrivere, scrivere, qualsiasi cosa che vi passi per la testa, in qualsiasi forma: se aspettiamo che arrivi sul foglio, o sullo schermo del computer, il testo perfetto, impeccabile e scorrevole da subito, ci sbagliamo di grosso e rischiamo di andar incontro ad un blocco e ad un foglio che rimarrà eternamente bianco. Il vero trucco è scrivere sempre, le idee verranno, sempre più numerose, sempre più fluenti e piacevoli. Poi rileggendo magari cestinerete un buon settanta per cento di quegli ‘scarabocchi’, ma sarà un lavoro tutt’altro che inutile, perché sarà servito a tenere la mente allenata, a creare legami tra le idee che avete e quelle che avete già messo su carta-pc, a far crescere la vostra capacità di scrittura, maturare. Ve ne accorgerete quando riprenderete in mano i primi racconti, percependo l’ingenuità di alcune scelte narrative di uno scrivere acerbo.
Un altro consiglio è uscire sempre con un taccuino e una penna, non è un luogo comune, le idee vengono quando meno te lo aspetti e spesso, ahinoi, non tornano più.
Mi è capitato una volta di essere in fila alla posta, l’idea mi ha fulminato letteralmente ‘certo come ho fatto a non pensarci? Ai miei protagonisti sul più bello succederà questo!’ (oppure poteva anche essere: ‘questo dialogo tra quella coppia laggiù in fondo voglio proprio trascriverlo, calza a pennello per i miei protagonisti’) beh, non avevo nulla e mi son sentita ridicola a prendere una penna e scrivere su un bollettino, ma me ne sono pentita amaramente in seguito! Ricordavo solo di aver avuto una idea geniale, nient’altro! Assurdo? Come si può dimenticare una cosa così geniale e utile alla trama? Fidatevi, si può!
Per non parlare della notte: dormiveglia, l’idea ti colpisce, prende forma, immagini persino le parole scritte: frasi perfette, orecchiabili, scorrevoli. Ma hai sonno, pensi: ’domattina la scrivo’ e ti addormenti soddisfatto. Al mattino? Tabula rasa! ‘Eppure era così chiara stanotte! Cos’è che doveva succedere? Com’era quella frase perfetta?’
Insomma, succo del discorso: penna e carta a portata di mano, ma vanno bene anche le note del cellulare o un messaggio, sapete io che faccio quando mi capita l’idea? Scrivo un promemoria oppure una mail a me stessa e me la invio da cellulare. A volte al mattino leggo e penso: ‘ma guarda tu che bell’idea, neanche mi ricordo di averla avuta!’ Oppure anche … ‘ma che schifezza, e io che pensavo fosse geniale!’ (capita anche questo)
Riassunto: scrivete tutto quel che vi passa in mente, in qualunque formato vi sia comodo o consono.
Come faccio a creare una storia? Come posso evitare di bloccarmi? Come mi verranno tutte le idee necessarie?
Risposta?
Scrivere, scrivere, scrivere, qualsiasi cosa che vi passi per la testa, in qualsiasi forma: se aspettiamo che arrivi sul foglio, o sullo schermo del computer, il testo perfetto, impeccabile e scorrevole da subito, ci sbagliamo di grosso e rischiamo di andar incontro ad un blocco e ad un foglio che rimarrà eternamente bianco. Il vero trucco è scrivere sempre, le idee verranno, sempre più numerose, sempre più fluenti e piacevoli. Poi rileggendo magari cestinerete un buon settanta per cento di quegli ‘scarabocchi’, ma sarà un lavoro tutt’altro che inutile, perché sarà servito a tenere la mente allenata, a creare legami tra le idee che avete e quelle che avete già messo su carta-pc, a far crescere la vostra capacità di scrittura, maturare. Ve ne accorgerete quando riprenderete in mano i primi racconti, percependo l’ingenuità di alcune scelte narrative di uno scrivere acerbo.
Un altro consiglio è uscire sempre con un taccuino e una penna, non è un luogo comune, le idee vengono quando meno te lo aspetti e spesso, ahinoi, non tornano più.
Mi è capitato una volta di essere in fila alla posta, l’idea mi ha fulminato letteralmente ‘certo come ho fatto a non pensarci? Ai miei protagonisti sul più bello succederà questo!’ (oppure poteva anche essere: ‘questo dialogo tra quella coppia laggiù in fondo voglio proprio trascriverlo, calza a pennello per i miei protagonisti’) beh, non avevo nulla e mi son sentita ridicola a prendere una penna e scrivere su un bollettino, ma me ne sono pentita amaramente in seguito! Ricordavo solo di aver avuto una idea geniale, nient’altro! Assurdo? Come si può dimenticare una cosa così geniale e utile alla trama? Fidatevi, si può!
Per non parlare della notte: dormiveglia, l’idea ti colpisce, prende forma, immagini persino le parole scritte: frasi perfette, orecchiabili, scorrevoli. Ma hai sonno, pensi: ’domattina la scrivo’ e ti addormenti soddisfatto. Al mattino? Tabula rasa! ‘Eppure era così chiara stanotte! Cos’è che doveva succedere? Com’era quella frase perfetta?’
Insomma, succo del discorso: penna e carta a portata di mano, ma vanno bene anche le note del cellulare o un messaggio, sapete io che faccio quando mi capita l’idea? Scrivo un promemoria oppure una mail a me stessa e me la invio da cellulare. A volte al mattino leggo e penso: ‘ma guarda tu che bell’idea, neanche mi ricordo di averla avuta!’ Oppure anche … ‘ma che schifezza, e io che pensavo fosse geniale!’ (capita anche questo)
Riassunto: scrivete tutto quel che vi passa in mente, in qualunque formato vi sia comodo o consono.
http://ilmomentodiscrivere.org/2014/09/09/primi-passi-dalla-bozza-romanzo-impaginazione/
QUESTA VOLTA QUALCHE CONSIGLIO SU COME IMPAGINARE RENDENDO IL MANOSCRITTO PRESENTABILE A CASE EDITRICI, AGENZIE LETTERARIE O SEMPLICEMENTE PER FARLO LEGGERE A QUALCUNO
PRIMI PASSI. DALLA BOZZA AL ROMANZO. IMPAGINAZIONE
2 L’IMPAGINAZIONE
Ma come, già impagino? Chiederete voi. Sì, effettivamente potevo postare anche alla fine le modalità d’impaginazione, ma poi ho pensato a chi, come me, vuole vedere l’effetto subito, già dal primo capitolo e lavorare su qualcosa che abbia già l’idea dell’effetto che avrà alla fine. Quindi ecco qui come rendere il vostro ‘capolavoro’, che sia ancora in forma di accozzaglia di frasi o un malloppo di cinquecento pagine, piacevole alla vista e presentabile ad altri.
Infatti presto o tardi inizierete a pensare: Come si deve proporre il manoscritto alle agenzie letterarie o alle case editrici? Oppure: Come devo impaginare per un self publishing?
È vero che ogni casa editrice ha una formattazione specifica, ma presentare bene la propria opera è un buon biglietto da visita, sempre, a qualsiasi scopo miriamo.
Per questo, dopo aver ripulito il più possibile dai refusi il testo, rendetelo piacevole curando margini, carattere e interlinea.Vediamo come.
Evitate caratteri troppo particolari, che alla lunga stancano l’occhio, un buon Times new Roman 12 o 14 è la scelta migliore, insieme al calibri o un Book antiqua 11 o un Garamond 12.
L’interlinea deve essere singola o 1,5 (dipende anche dalla lunghezza del manoscritto: singola per volumi più corposi, più ampia per testi brevi); margini superiore e inferiore di 3 cm e 2,5 sia il destro che il sinistro. In questo modo otterrete quella che viene definita cartella standard di circa 1800 caratteri (per verificare il numero dei caratteri su word basta cliccare su revisione e poi conteggio parole). Queste impostazioni corrispondono al formato A5 (148 × 210), che è quello tipico dei libri stampati. Notate bene: va benissimo anche l’A4 (210 x 297), considerate però che il vostro manoscritto risulterà più breve (quasi la metà delle pagine).
La voce RILEGATURA deve essere lasciata a zero, si utilizza solamente quando il libro ha un elevato numero di pagine, e si sommerà al valore dato nella voce margine sinistro, in maniera proporzionale. Per libri di 200 – 500 pagine non è necessario inserire valori di rilegatura.
INTESTAZIONI e i PIE’ PAGINA:
Selezionate la voce “Diversi per la prima pagina” e “Diversi per PARI e DISPARI”.
La distanza bordo deve essere uguale: 1,25 sia per l’intestazione che per i piè di pagina.
L’allineamento verticale deve essere “in alto”.
Ma come, già impagino? Chiederete voi. Sì, effettivamente potevo postare anche alla fine le modalità d’impaginazione, ma poi ho pensato a chi, come me, vuole vedere l’effetto subito, già dal primo capitolo e lavorare su qualcosa che abbia già l’idea dell’effetto che avrà alla fine. Quindi ecco qui come rendere il vostro ‘capolavoro’, che sia ancora in forma di accozzaglia di frasi o un malloppo di cinquecento pagine, piacevole alla vista e presentabile ad altri.
Infatti presto o tardi inizierete a pensare: Come si deve proporre il manoscritto alle agenzie letterarie o alle case editrici? Oppure: Come devo impaginare per un self publishing?
È vero che ogni casa editrice ha una formattazione specifica, ma presentare bene la propria opera è un buon biglietto da visita, sempre, a qualsiasi scopo miriamo.
Per questo, dopo aver ripulito il più possibile dai refusi il testo, rendetelo piacevole curando margini, carattere e interlinea.Vediamo come.
Evitate caratteri troppo particolari, che alla lunga stancano l’occhio, un buon Times new Roman 12 o 14 è la scelta migliore, insieme al calibri o un Book antiqua 11 o un Garamond 12.
L’interlinea deve essere singola o 1,5 (dipende anche dalla lunghezza del manoscritto: singola per volumi più corposi, più ampia per testi brevi); margini superiore e inferiore di 3 cm e 2,5 sia il destro che il sinistro. In questo modo otterrete quella che viene definita cartella standard di circa 1800 caratteri (per verificare il numero dei caratteri su word basta cliccare su revisione e poi conteggio parole). Queste impostazioni corrispondono al formato A5 (148 × 210), che è quello tipico dei libri stampati. Notate bene: va benissimo anche l’A4 (210 x 297), considerate però che il vostro manoscritto risulterà più breve (quasi la metà delle pagine).
La voce RILEGATURA deve essere lasciata a zero, si utilizza solamente quando il libro ha un elevato numero di pagine, e si sommerà al valore dato nella voce margine sinistro, in maniera proporzionale. Per libri di 200 – 500 pagine non è necessario inserire valori di rilegatura.
INTESTAZIONI e i PIE’ PAGINA:
Selezionate la voce “Diversi per la prima pagina” e “Diversi per PARI e DISPARI”.
La distanza bordo deve essere uguale: 1,25 sia per l’intestazione che per i piè di pagina.
L’allineamento verticale deve essere “in alto”.
La numerazione delle pagine
La numerazione delle pagine deve essere a destra su quelle di numero dispari e a sinistra su quelle di numero pari.
Le prime 4 pagine del libro di solito sono bianche, non numerate:
• Pagina uno di solito viene presentata la collana.
• Pagina 2 è di norma bianca.
• Pagina 3 corrisponde al frontespizio.
• Pagina 4 compare il copyright.
• La prima pagina che dovrete numerare, quindi, sarà la 5.
• Indice: a pagina 5 e seguenti.
• Presentazione, premessa, introduzione: devono cadere a pagina dispari (lasciate una pagina bianca se necessario).
• Titoli delle parti, primo capitolo, bibliografia : devono trovarsi in pagina dispari.
Gli spazi
Ricordatevi d’inserire la sillabazione automatica per evitare antiestetici spazi nell’andare a capo, sempre per lo stesso motivo eliminate le righe ‘orfane’: che si trovano da sole in una pagina a fine o inizio capitolo.
Controllate i doppi spazi tra una parola e l’altra, si può fare anche una ricerca attraverso: ‘trova .. – sostituisci .’
Lo spazio non va mai lasciato prima di un apostrofo e sempre dopo la punteggiatura.
La numerazione delle pagine deve essere a destra su quelle di numero dispari e a sinistra su quelle di numero pari.
Le prime 4 pagine del libro di solito sono bianche, non numerate:
• Pagina uno di solito viene presentata la collana.
• Pagina 2 è di norma bianca.
• Pagina 3 corrisponde al frontespizio.
• Pagina 4 compare il copyright.
• La prima pagina che dovrete numerare, quindi, sarà la 5.
• Indice: a pagina 5 e seguenti.
• Presentazione, premessa, introduzione: devono cadere a pagina dispari (lasciate una pagina bianca se necessario).
• Titoli delle parti, primo capitolo, bibliografia : devono trovarsi in pagina dispari.
Gli spazi
Ricordatevi d’inserire la sillabazione automatica per evitare antiestetici spazi nell’andare a capo, sempre per lo stesso motivo eliminate le righe ‘orfane’: che si trovano da sole in una pagina a fine o inizio capitolo.
Controllate i doppi spazi tra una parola e l’altra, si può fare anche una ricerca attraverso: ‘trova .. – sostituisci .’
Lo spazio non va mai lasciato prima di un apostrofo e sempre dopo la punteggiatura.
Se il testo contiene immagini, assicuratevi che anche esse siano ad alta risoluzione (almeno 300 dpi). (Quando incollate l’immagine nel Word dovete essere costretti a rimpicciolirla a mano per essere certi che sia ad alta risoluzione.) Per esser più chiari: un’immagine di 10 cm per 10 cm dovrà essere di circa 1000 pixel x 1000 pixel. Un’ultima cosa: ricordatevi di verificare che le immagini che state usando non siano protette da copyright!
La mia ultima fatica.... spero sia utile a qualcuno.
:-)
3 UN PO’ DI REGOLE GRAMMATICALI (DA BRAVA MAESTRINA NON POSSONO MANCARE)
Prima di portare all’attenzione di chiunque: amico, familiare, o persona qualificata che sia, il nostro amato manoscritto, dovremmo correggerlo dai refusi. O meglio ancora… ci accingiamo ora alla prima stesura?
Bene, diamo una bella rinfrescata alla grammatica di base per evitare gli errori più ricorrenti o per toglierci dei dubbi.
Mi scuso per la lunghezza dell’articolo, lo so, lo so, sono argomenti noiosi, ma meglio togliersi il dente subito non trovate? Spero comunque che risulterà chiaro ed utile per chiarire i dubbi a chi ne avesse bisogno.
Mi scuso per la lunghezza dell’articolo, lo so, lo so, sono argomenti noiosi, ma meglio togliersi il dente subito non trovate? Spero comunque che risulterà chiaro ed utile per chiarire i dubbi a chi ne avesse bisogno.
Gli accenti (grave o acuto?)
L’accento indica l’apertura delle vocali e ed o.
L’accento acuto indica che la vocale accentata deve essere pronunciata chiusa:
réte, mése, cómpito, giórno
l’esempio che faccio sempre ai miei alunni per spiegare la pronuncia?
L’accento indica l’apertura delle vocali e ed o.
L’accento acuto indica che la vocale accentata deve essere pronunciata chiusa:
réte, mése, cómpito, giórno
l’esempio che faccio sempre ai miei alunni per spiegare la pronuncia?
Pèsca (il frutto)
Pésca ( voce del verbo pescare)
Pésca ( voce del verbo pescare)
Ricordate:
Con accento acuto: poiché, perché, sé, nonché, affinché.
I composti di tre: ventitré, trentatré.
Nella 3a persona del passato remoto di alcuni verbi in –ere: poté, ripeté
Con accento acuto: poiché, perché, sé, nonché, affinché.
I composti di tre: ventitré, trentatré.
Nella 3a persona del passato remoto di alcuni verbi in –ere: poté, ripeté
Si deve usare l’accento grave quando la vocale si pronuncia aperta:
È, cioè, tè, caffè, bebè, Noè, karatè.
La voce del verbo essere ha sempre l’accento grave non digitatela mai con l’apostrofo (E’), ma usate il simbolo corretto (È). Si consiglia di effettuare, a fine lavoro, un controllo automatico anche con trova E’ sostituisci con È.
È, cioè, tè, caffè, bebè, Noè, karatè.
La voce del verbo essere ha sempre l’accento grave non digitatela mai con l’apostrofo (E’), ma usate il simbolo corretto (È). Si consiglia di effettuare, a fine lavoro, un controllo automatico anche con trova E’ sostituisci con È.
Nel caso in cui la vocale finale sia o, l’accento è sempre grave, perché in italiano la o finale accentata viene sempre pronunciata aperta: andò, farò, però, oblò
CON accento:
Ciò, cioè, dà, dì, è, già, giù, là, lì, né, può, più, sé, sì.
SENZA accento
Blu, fra, tra, fu, ma, su, qui, qua, no, so, sa, tre.
Blu, fra, tra, fu, ma, su, qui, qua, no, so, sa, tre.
Gli apostrofi
Qual è NON Qual è, allo stesso modo si comporta tal:
Questi aggettivi, nella forma qual e tal, hanno subito un troncamento (caduta della sillaba o della vocale finale della parola, senza che sia necessario apostrofare), non un’elisione (eliminazione dell’ultima vocale senza accento di una parola mono/bisillabica) pertanto non si accentano.
Ecco alcune parole in cui invece si mette l’apostrofo:
po’ – es. : Un po’ di pazienza per favore.
da’ – es. : Mario, da’ il libro a Giulia!
di’ – es. : Allora, di’ cosa è successo.
fa’ – es. : prendi il cappotto, fa’ presto o faremo tardi.
sta’ – es. : Sta’ fermo, per piacere!
va’ – es. : va’ a prendere il tuo ombrello, piove.
mo’ – es. : a mo’ d’esempio.
Qual è NON Qual è, allo stesso modo si comporta tal:
Questi aggettivi, nella forma qual e tal, hanno subito un troncamento (caduta della sillaba o della vocale finale della parola, senza che sia necessario apostrofare), non un’elisione (eliminazione dell’ultima vocale senza accento di una parola mono/bisillabica) pertanto non si accentano.
Ecco alcune parole in cui invece si mette l’apostrofo:
po’ – es. : Un po’ di pazienza per favore.
da’ – es. : Mario, da’ il libro a Giulia!
di’ – es. : Allora, di’ cosa è successo.
fa’ – es. : prendi il cappotto, fa’ presto o faremo tardi.
sta’ – es. : Sta’ fermo, per piacere!
va’ – es. : va’ a prendere il tuo ombrello, piove.
mo’ – es. : a mo’ d’esempio.
SI SCRIVE UNITO O SEPARATO?
Parole o espressioni che devono essere scritte sempre separate:
a fianco non affianco
a proposito non approposito
al di là non aldilà (a meno che non si tratti dell’aldilà, il
regno dei cieli)
al di sopra non aldisopra
al di sotto non aldisotto
all’incirca non allincirca
d’accordo non daccordo
d’altronde non daltronde
in quanto non inquanto
l’altr’anno non laltranno, l’altranno
per cui non percui
poc’anzi non pocanzi
quant’altro non quantaltro
senz’altro non senzaltro
tra l’altro non tralaltro
tutt’altro non tuttaltro
tutt’e due non tuttedue, tutteddue
tutt’oggi non tuttoggi
tutt’uno non tuttuno
Parole da scrivere unite:
a fianco non affianco
a proposito non approposito
al di là non aldilà (a meno che non si tratti dell’aldilà, il
regno dei cieli)
al di sopra non aldisopra
al di sotto non aldisotto
all’incirca non allincirca
d’accordo non daccordo
d’altronde non daltronde
in quanto non inquanto
l’altr’anno non laltranno, l’altranno
per cui non percui
poc’anzi non pocanzi
quant’altro non quantaltro
senz’altro non senzaltro
tra l’altro non tralaltro
tutt’altro non tuttaltro
tutt’e due non tuttedue, tutteddue
tutt’oggi non tuttoggi
tutt’uno non tuttuno
Parole da scrivere unite:
abbastanza
affatto
allorché
almeno
ancorché
benché
bensì
chissà
dinanzi, dinnanzi
| dopodomani
dovunque
ebbene
eppure
fabbisogno
finché
finora
giacché
infatti
inoltre
| invano
laggiù
lassù
malgrado
neanche
nemmeno
neppure
nonché
oppure
ossia
| perciò
perfino
pertanto
piuttosto
pressappoco
quaggiù
qualcosa
qualora
quassù
sebbene
| ovvero
sicché
siccome
sissignore
soprattutto
sottosopra
talmente
talora
talvolta
tuttavia
tuttora
|
Parole o espressioni che possono essere scritte sia unite sia separate:
anzitempo -anzi tempo
anzitutto -anzi tutto
casomai -caso mai
ciononostante- ciò nonostante
controvoglia -contro voglia
cosicché -così che
dappertutto -da per tutto
dappoco- da poco
dappresso- da presso
dapprima- da prima
dapprincipio -da principio
difronte -di fronte
disotto -di sotto
dopotutto -dopo tutto
manodopera- mano d’opera
nondimeno -non di meno
oltremisura -oltre misura
oltremodo -oltre modo
peraltro -per altro
perlomeno- per lo meno
perlopiù -per lo più
quantomeno- quanto meno
suppergiù- su per giù
tantomeno- tanto meno
tuttalpiù -tutt’al più
anzitempo -anzi tempo
anzitutto -anzi tutto
casomai -caso mai
ciononostante- ciò nonostante
controvoglia -contro voglia
cosicché -così che
dappertutto -da per tutto
dappoco- da poco
dappresso- da presso
dapprima- da prima
dapprincipio -da principio
difronte -di fronte
disotto -di sotto
dopotutto -dopo tutto
manodopera- mano d’opera
nondimeno -non di meno
oltremisura -oltre misura
oltremodo -oltre modo
peraltro -per altro
perlomeno- per lo meno
perlopiù -per lo più
quantomeno- quanto meno
suppergiù- su per giù
tantomeno- tanto meno
tuttalpiù -tutt’al più
La punteggiatura
La virgola.
La virgola indica una pausa breve ed è il segno d’interpunzione più difficile da usare, a mio avviso. Dà l’intonazione alla frase e se messa nel modo sbagliato può cambiare completamente il senso del discorso.
Esempio:
Il balcone della casa che affaccia sul porto…
Il balcone della casa, che affaccia sul porto…
Nella prima frase è la casa stessa che affaccia sul porto, nella seconda invece è il balcone.
La virgola.
La virgola indica una pausa breve ed è il segno d’interpunzione più difficile da usare, a mio avviso. Dà l’intonazione alla frase e se messa nel modo sbagliato può cambiare completamente il senso del discorso.
Esempio:
Il balcone della casa che affaccia sul porto…
Il balcone della casa, che affaccia sul porto…
Nella prima frase è la casa stessa che affaccia sul porto, nella seconda invece è il balcone.
Di solito, la virgola si omette quando sono usate le congiunzioni e, o, ovvero, oppure, né. Tranne quando si vogliono ottenere effetti particolari, con pause più frequenti nel discorso.
Non si pone la virgola tra soggetto e verbo.
Si pone invece al principio ed alla fine di un inciso.
Es. Laura, vivendo dietro casa mia, passava a chiamarmi ogni mattina.
La virgola può precedere le seguenti congiunzioni :
– Ma, tuttavia, però, anzi: Es. Mi piace la musica moderna, ma preferisco quella classica.
Non si pone la virgola tra soggetto e verbo.
Si pone invece al principio ed alla fine di un inciso.
Es. Laura, vivendo dietro casa mia, passava a chiamarmi ogni mattina.
La virgola può precedere le seguenti congiunzioni :
– Ma, tuttavia, però, anzi: Es. Mi piace la musica moderna, ma preferisco quella classica.
- Anche se, benché, per quanto, sebbene: Es. Il mio amico, sebbene fosse stato ferito, non mi abbandonò mai.
- Mentre, quando: Es. Io uscivo, mentre egli arrivava.
- Giacché, poiché: Es. Ti credo, giacché lo dici con tanta passione.
Il punto e virgola (;) è uno dei segni di interpunzione che va scomparendo nell’uso comune.
E’ opportuno usare il punto e virgola quando si susseguono tante proposizioni principali con molte proposizioni secondarie frapposte tra di loro, in modo da interrompere il discorso troppo lungo con qualcosa di più di una virgola, distinguendo ciascun gruppo.
Il punto e virgola si adopera anche quando sono presenti specificazioni dei termini di un elenco.
Il punto (.) segna la pausa più lunga del discorso. Si mette alla fine d’un periodo ad indicare che quanto è stato detto ha un senso compiuto. Si possono distinguere il punto di seguito e il punto a capo. Dopo il primo, si continua a scrivere sulla stessa riga, implicando il fatto che si continuerà a trattare lo stesso argomento, dopo il secondo si va a capo, ad indicare che la trattazione passerà ad un argomento o ad un sottoargomento diverso. Per enfatizzare maggiormente il cambio di argomento del nuovo periodo, si può andare a capo, lasciando un maggiore spazio prima della parola.
E’ opportuno usare il punto e virgola quando si susseguono tante proposizioni principali con molte proposizioni secondarie frapposte tra di loro, in modo da interrompere il discorso troppo lungo con qualcosa di più di una virgola, distinguendo ciascun gruppo.
Il punto e virgola si adopera anche quando sono presenti specificazioni dei termini di un elenco.
Il punto (.) segna la pausa più lunga del discorso. Si mette alla fine d’un periodo ad indicare che quanto è stato detto ha un senso compiuto. Si possono distinguere il punto di seguito e il punto a capo. Dopo il primo, si continua a scrivere sulla stessa riga, implicando il fatto che si continuerà a trattare lo stesso argomento, dopo il secondo si va a capo, ad indicare che la trattazione passerà ad un argomento o ad un sottoargomento diverso. Per enfatizzare maggiormente il cambio di argomento del nuovo periodo, si può andare a capo, lasciando un maggiore spazio prima della parola.
I pronomi
Il corretto uso del pronome relativo “cui”
“Cui” è una delle parole italiane più abusate. Invariabile nella forma, può essere singolare o plurale, maschile o femminile. Questo pronome relativo viene usato un po’ dappertutto, ma la sua presenza massiccia in un testo, dà origine a cacofonie ed errori grammaticali.
Può essere sostituito dall’altro pronome relativo il quale (la quale, ecc.), ma non da che l’anno in cui conobbi Maria, non l’anno che conobbi Maria)
Il pronome è preceduto da preposizioni semplici :
Il libro di cui voglio parlarti; il parente a cui sono più affezionato; gli amici su cui posso contare; le persone di cui ti parlavo; la casa in cui vivo; gli amici con cui gioco.
O articolate:
Il libro, del quale ti ho parlato; l’ufficio nel quale lavoro; la persona alla quale ti riferisci; questi sono i libri sui quali ho studiato; le amiche con le quali vado in vacanza;
La preposizione può essere eliminata
Es: il medico (a) cui mi sono rivolto; Ho un amico dolcissimo (a) cui voglio molto bene;
→ cui può essere collocato tra l’articolo determinativo e il nome ed esprime possesso col significato di “del quale”, “della quale”, “dei quali” e “delle quali”. Anche in questo caso non c’è la preposizione. Per esempio: un ristorante il cui indirizzo (= l’indirizzo del quale) ora non ricordo; quel ragazzo, la cui madre (= la madre del quale) è una mia amica, è molto simpatico.
Cui può essere sostituito dalle forme del quale, al quale, nel quale ecc., ma NON dal pronome che.
Quando è meglio usare il quale?
Quando l’uso diche e cui potrebbe produrre frasi poco chiare:
Il quale ha il vantaggio di indicare il genere e il numero dell’antecedente cui si riferisce.
Se ad esempio diciamo: ‘Ho pranzato con il marito della mia vicina di casa, di cui ho molta stima’ non si capisce bene a chi sia riferito il pronome relativo, alla vicina o al marito? meglio allora dire: ‘Ho pranzato con il marito della mia vicina di casa, del quale (il marito) oppure della quale (la vicina) ho molta stima’.
Anche quando il relativo è distante dall’antecedente è bene usare il quale: ‘La professoressa ha elencato i libri su cui dobbiamo studiare, che si possono trovare in biblioteca’ Meglio: ‘La professoressa ha elencato i libri su cui dobbiamo studiare, i quali si possono trovare in biblioteca’.
Il corretto uso del pronome relativo “cui”
“Cui” è una delle parole italiane più abusate. Invariabile nella forma, può essere singolare o plurale, maschile o femminile. Questo pronome relativo viene usato un po’ dappertutto, ma la sua presenza massiccia in un testo, dà origine a cacofonie ed errori grammaticali.
Può essere sostituito dall’altro pronome relativo il quale (la quale, ecc.), ma non da che l’anno in cui conobbi Maria, non l’anno che conobbi Maria)
Il pronome è preceduto da preposizioni semplici :
Il libro di cui voglio parlarti; il parente a cui sono più affezionato; gli amici su cui posso contare; le persone di cui ti parlavo; la casa in cui vivo; gli amici con cui gioco.
O articolate:
Il libro, del quale ti ho parlato; l’ufficio nel quale lavoro; la persona alla quale ti riferisci; questi sono i libri sui quali ho studiato; le amiche con le quali vado in vacanza;
La preposizione può essere eliminata
Es: il medico (a) cui mi sono rivolto; Ho un amico dolcissimo (a) cui voglio molto bene;
→ cui può essere collocato tra l’articolo determinativo e il nome ed esprime possesso col significato di “del quale”, “della quale”, “dei quali” e “delle quali”. Anche in questo caso non c’è la preposizione. Per esempio: un ristorante il cui indirizzo (= l’indirizzo del quale) ora non ricordo; quel ragazzo, la cui madre (= la madre del quale) è una mia amica, è molto simpatico.
Cui può essere sostituito dalle forme del quale, al quale, nel quale ecc., ma NON dal pronome che.
Quando è meglio usare il quale?
Quando l’uso diche e cui potrebbe produrre frasi poco chiare:
Il quale ha il vantaggio di indicare il genere e il numero dell’antecedente cui si riferisce.
Se ad esempio diciamo: ‘Ho pranzato con il marito della mia vicina di casa, di cui ho molta stima’ non si capisce bene a chi sia riferito il pronome relativo, alla vicina o al marito? meglio allora dire: ‘Ho pranzato con il marito della mia vicina di casa, del quale (il marito) oppure della quale (la vicina) ho molta stima’.
Anche quando il relativo è distante dall’antecedente è bene usare il quale: ‘La professoressa ha elencato i libri su cui dobbiamo studiare, che si possono trovare in biblioteca’ Meglio: ‘La professoressa ha elencato i libri su cui dobbiamo studiare, i quali si possono trovare in biblioteca’.
GLI o LE?
Il pronome “Gli” significa esclusivamente “a lui”
Uno tra i più frequenti errori grammaticali: usare gli riferito a un nome di genere femminile (cioè nel senso di a lei, sempre singolare). , è grammaticalmente scorretto dire: “Ho incontrato Marta e gli ho raccontato cos’è successo ieri”.
Con lo, la, li, le e ne forma una parola unica: glielo, gliela, glieli, gliele, gliene.
Gli si unisce come suffisso ai verbi: “spiegargli” o “dirgli”.
Anche in questo caso, se si vuole dire “a lei”, si usa il pronome “le”: “spiegarle” “dirle”
Il pronome “Gli” significa esclusivamente “a lui”
Uno tra i più frequenti errori grammaticali: usare gli riferito a un nome di genere femminile (cioè nel senso di a lei, sempre singolare). , è grammaticalmente scorretto dire: “Ho incontrato Marta e gli ho raccontato cos’è successo ieri”.
Con lo, la, li, le e ne forma una parola unica: glielo, gliela, glieli, gliele, gliene.
Gli si unisce come suffisso ai verbi: “spiegargli” o “dirgli”.
Anche in questo caso, se si vuole dire “a lei”, si usa il pronome “le”: “spiegarle” “dirle”
Egli, ella, lui, lei, loro
Per chi fa confusione: egli, ella, lui, lei, loro si usano solo per riferirsi a persone; per gli animali e le cose sui deve usare esso, essa, essi, esse.
Per chi fa confusione: egli, ella, lui, lei, loro si usano solo per riferirsi a persone; per gli animali e le cose sui deve usare esso, essa, essi, esse.
Egli e lui
Il pronome “egli” si usa quando ha funzione di soggetto della frase mentre il pronome “lui” si usa negli altri casi.
Nella lingua parlata il lui però sostituisce spesso l’egli, i due pronomi, però, non sono da considerare totalmente intercambiabili: posso scrivere “Lui è andato al cinema”, ma non è corretto scrivere “Sono andato al cinema con egli”.
Il pronome “egli” si usa quando ha funzione di soggetto della frase mentre il pronome “lui” si usa negli altri casi.
Nella lingua parlata il lui però sostituisce spesso l’egli, i due pronomi, però, non sono da considerare totalmente intercambiabili: posso scrivere “Lui è andato al cinema”, ma non è corretto scrivere “Sono andato al cinema con egli”.
Consigli lampo:
Evitare o diminuire il più possibile avverbi in ‘mente’ es. si avvicinò lentamente, meglio si avvicinò con estrema lentezza.
Evitare aggettivi di grado superlativo, ma se proprio dovete ecco qui i più comuni:
acre – acerrimo,
aspro – asperrimo,
celebre – celeberrimo,
integro – integerrimo,
misero – miserrimo,
salubre – saluberrimo,
benefico – beneficentissimo,
magnifico – magnificentissimo
munifico – munificentissimo.
Evitare o diminuire il più possibile avverbi in ‘mente’ es. si avvicinò lentamente, meglio si avvicinò con estrema lentezza.
Evitare aggettivi di grado superlativo, ma se proprio dovete ecco qui i più comuni:
acre – acerrimo,
aspro – asperrimo,
celebre – celeberrimo,
integro – integerrimo,
misero – miserrimo,
salubre – saluberrimo,
benefico – beneficentissimo,
magnifico – magnificentissimo
munifico – munificentissimo.
Quale persona usare? Parte prima… persona
QUALE PERSONA USARE?
Questa una delle domande fondamentali che dobbiamo porci. La decisione non è semplice, io spesso provo a scrivere un pezzo e lo trasformo cercando di ‘ascoltare’ come suona meglio. Naturalmente non c’è una modalità giusta, dipende dal genere, dall’impronta che si vuole dare allo scritto.
La decisione è difficile e importantissima perché cambierà totalmente l’effetto che avrà la storia, per non parlare di tutte le possibilità e i limiti connessi a tale scelta.
Ma per quanto possa essere arduo decidere, dovrete necessariamente farlo subito, non è un qualcosa che potete rimandare al dopo, o vi troverete a dover modificare il testo in modo così invasivo, da poter essere più facile riscriverlo da capo.
La scelta sarà tra la prima (io ero…io credo…io arrivai…) e la terza persona (egli domandò…egli si trovava…egli è…). Nuovi esperimenti di scrittura hanno portato alla ribalta anche la seconda persona ( Tu eri …. Tu sei…. Tu andavi…), ne parlerò in un articolo a parte.
Questa una delle domande fondamentali che dobbiamo porci. La decisione non è semplice, io spesso provo a scrivere un pezzo e lo trasformo cercando di ‘ascoltare’ come suona meglio. Naturalmente non c’è una modalità giusta, dipende dal genere, dall’impronta che si vuole dare allo scritto.
La decisione è difficile e importantissima perché cambierà totalmente l’effetto che avrà la storia, per non parlare di tutte le possibilità e i limiti connessi a tale scelta.
Ma per quanto possa essere arduo decidere, dovrete necessariamente farlo subito, non è un qualcosa che potete rimandare al dopo, o vi troverete a dover modificare il testo in modo così invasivo, da poter essere più facile riscriverlo da capo.
La scelta sarà tra la prima (io ero…io credo…io arrivai…) e la terza persona (egli domandò…egli si trovava…egli è…). Nuovi esperimenti di scrittura hanno portato alla ribalta anche la seconda persona ( Tu eri …. Tu sei…. Tu andavi…), ne parlerò in un articolo a parte.
PRIMA PERSONA
Oggi esamineremo la prima persona.
Nella scrittura in prima persona la storia è raccontata dal protagonista o da qualcuno che partecipa attivamente ai fatti. Tutto è veicolato dagli occhi, i pensieri e le azioni di chi parla.
Il Narratore, dunque, definito INTERNO, racconterà le vicende attraverso gli occhi del personaggio con cui si identifica, calandosi nei suoi panni. Tutto ciò che accadrà verrà mostrato attraverso il suo punto di vista, il suo sguardo, i suoi sentimenti, i suoi pensieri, insomma il suo personale modo di vedere le cose. Nei racconti di Edgar Allan Poe in prima persona ad esempio, il mondo viene distorto, filtrato attraverso le manie e le ossessioni del personaggio.
Un genere giallo o un thriller sono tipologie di narrazione che si prestano particolarmente all’utilizzo di questa tecnica e diventano molto coinvolgenti, poiché il lettore procede nella storia di pari passo con il protagonista (ancor di più se si narra al presente), cosa che permette di sviluppare un vero e proprio legame tra protagonista-narratore e lettore, scatenando l’empatia.
È l’autore stesso a diventare protagonista, è lui che parla e descrive ciò che accade, per questo la prima persona è particolarmente indicata per il romanzo autobiografico, il diario, il romanzo epistolare.
Il primo romanzo che mi viene in mente è Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello, l’immedesimazione emotiva è altissima, certo, direte voi: è Pirandello! Vero, ma forse l’effetto non sarebbe stato lo stesso se la narrazione fosse stata in terza persona. Altri esempi? Robinson Crusoe e I viaggi di Gulliver. Tanto per rimanere nel classico. Un caso particolare, e famosissimo è quello del narratore interno, che però non coincide con il protagonista, ma con un personaggio secondario: in Sherlock Holmes i fatti sono narrati dall’assistente Watson. Ciò rende la storia particolare, permettendo la libertà di descrivere bene il protagonista e le sue caratteristiche (cosa impossibile se il narratore coincide con il protagonista), mantenendo però l’alto livello di partecipazione dato dalla prima persona.
Oggi esamineremo la prima persona.
Nella scrittura in prima persona la storia è raccontata dal protagonista o da qualcuno che partecipa attivamente ai fatti. Tutto è veicolato dagli occhi, i pensieri e le azioni di chi parla.
Il Narratore, dunque, definito INTERNO, racconterà le vicende attraverso gli occhi del personaggio con cui si identifica, calandosi nei suoi panni. Tutto ciò che accadrà verrà mostrato attraverso il suo punto di vista, il suo sguardo, i suoi sentimenti, i suoi pensieri, insomma il suo personale modo di vedere le cose. Nei racconti di Edgar Allan Poe in prima persona ad esempio, il mondo viene distorto, filtrato attraverso le manie e le ossessioni del personaggio.
Un genere giallo o un thriller sono tipologie di narrazione che si prestano particolarmente all’utilizzo di questa tecnica e diventano molto coinvolgenti, poiché il lettore procede nella storia di pari passo con il protagonista (ancor di più se si narra al presente), cosa che permette di sviluppare un vero e proprio legame tra protagonista-narratore e lettore, scatenando l’empatia.
È l’autore stesso a diventare protagonista, è lui che parla e descrive ciò che accade, per questo la prima persona è particolarmente indicata per il romanzo autobiografico, il diario, il romanzo epistolare.
Il primo romanzo che mi viene in mente è Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello, l’immedesimazione emotiva è altissima, certo, direte voi: è Pirandello! Vero, ma forse l’effetto non sarebbe stato lo stesso se la narrazione fosse stata in terza persona. Altri esempi? Robinson Crusoe e I viaggi di Gulliver. Tanto per rimanere nel classico. Un caso particolare, e famosissimo è quello del narratore interno, che però non coincide con il protagonista, ma con un personaggio secondario: in Sherlock Holmes i fatti sono narrati dall’assistente Watson. Ciò rende la storia particolare, permettendo la libertà di descrivere bene il protagonista e le sue caratteristiche (cosa impossibile se il narratore coincide con il protagonista), mantenendo però l’alto livello di partecipazione dato dalla prima persona.
Vincoli della scrittura in prima persona
Abbiamo detto che la prima persona avvicina il personaggio al lettore, favorendone l’immedesimazione, è però un po’ più difficile da gestire: spesso si vengono a creare dei congiuntivi impossibili e si devono fare giri di parole e salti mortali, proprio per evitare problemi nell’uso dei verbi.
Nella scrittura in prima persona inoltre, chi narra la storia potrebbe non essere al corrente di tutti i dettagli degli eventi, anzi, generalmente non lo è. Questo vincolo costringe all’utilizzo di tecniche ed escamotage nel caso in cui volessimo far conoscere al lettore cose accadute in luoghi o tempi diversi da quelli in cui si trova chi narra.
Di solito questi trucchi sono i flashback, le notizie date dall’esterno (lettere, telefonate ecc.) o l’uso (raro) di un narratore in terza persona per una parte della storia. Potrebbe essere utile anche utilizzare più di un io narrante.
Un esempio celebre è Frankenstein di Mary Shelley narrato tutto in prima persona, ma dal punto di vista di più personaggi. Il giovane capitano, Robert Walton è il narratore principale, che scrive lettere alla sorella Margareth, raccontando di aver soccorso il dottor Frankenstein, intrappolato tra i ghiacci con la sua nave. All’interno di questa narrazione se ne apre un’altra: un flash-back che durerà per tutta la lunghezza del libro, narrandoci le vicende del dottore.
Ma non finisce qui: ad un certo punto nella narrazione lo stesso mostro creato da Frankenstein prende parola, raccontando la sua stessa storia in un altro flash-back.
Mio consiglio personale: sperimentate pure, ma con attenzione: bisogna essere davvero bravi, la Shelley se lo è potuto permettere, ma il rischio è quello di disorientare il lettore, che potrà perdere il punto di riferimento della narrazione.
Con questa tecnica, come ho detto sopra, è facile trasmettere la tensione, il pathos, ma non è altrettanto semplice creare colpi di scena o scrivere trame complicate: Ad esempio se si parla in prima persona sappiamo già che il protagonista non potrà morire (a meno che non sia un fantasy in cui resusciti o si reincarni o un horror e parli dalla tomba a mo’ di zombie).
Di solito quindi, a meno di usare i trucchetti appena descritti, in prima persona la trama sarà molto lineare.
Attenzione anche ai tempi, la prima persona al presente fa scorrere piacevolmente la storia, come se stesse accadendo tutto nel momento in cui leggiamo, però non cadiamo nell’errore di raccontare di cose non ancora successe o che il protagonista non può conoscere.
Esempio.
Seduto al bancone del bar ti guardo bere l’ennesimo drink, mi guardi, ti alzi, vuoi dirmi qualcosa, ma taci perché non sei in vena di rimorchiare, non sei in grado nemmeno di parlare con tutto quell’alcol in corpo.
Il nostro protagonista non può certo sapere intenzioni o pensieri di un altro personaggio, al massimo può intuirli o credere di conoscerli. Il brano qui sopra è quindi errato.
Al passato la narrazione diviene più riflessiva, come se il protagonista tirasse le somme della propria vita.
Ero un bambino timido e schivo, guardavo tutti di sottecchi, con le sopracciglia corrucciate e le mani in bocca, a sgranocchiare le unghie.
È un po’ come se il protagonista prendesse le distanze da se stesso raccontando la propria vita.
Quando è preferibile scrivere quindi in prima persona?
A mio avviso è preferibile scrivere in prima persona:
Quando il protagonista è uno solo ed è centrale nella storia.
Quando tutto passa attraverso gli occhi del protagonista. Si possono descrivere emozioni o pensieri di altri personaggi, ma non sono i loro reali pensieri, ma ciò che il protagonista pensa che gli altri pensino. Quando la narrazione è lineare e coerente con la linea temporale.
Assolutamente non adatta invece a storie con più protagonisti o molti personaggi che agiscono contemporaneamente.
Abbiamo detto che la prima persona avvicina il personaggio al lettore, favorendone l’immedesimazione, è però un po’ più difficile da gestire: spesso si vengono a creare dei congiuntivi impossibili e si devono fare giri di parole e salti mortali, proprio per evitare problemi nell’uso dei verbi.
Nella scrittura in prima persona inoltre, chi narra la storia potrebbe non essere al corrente di tutti i dettagli degli eventi, anzi, generalmente non lo è. Questo vincolo costringe all’utilizzo di tecniche ed escamotage nel caso in cui volessimo far conoscere al lettore cose accadute in luoghi o tempi diversi da quelli in cui si trova chi narra.
Di solito questi trucchi sono i flashback, le notizie date dall’esterno (lettere, telefonate ecc.) o l’uso (raro) di un narratore in terza persona per una parte della storia. Potrebbe essere utile anche utilizzare più di un io narrante.
Un esempio celebre è Frankenstein di Mary Shelley narrato tutto in prima persona, ma dal punto di vista di più personaggi. Il giovane capitano, Robert Walton è il narratore principale, che scrive lettere alla sorella Margareth, raccontando di aver soccorso il dottor Frankenstein, intrappolato tra i ghiacci con la sua nave. All’interno di questa narrazione se ne apre un’altra: un flash-back che durerà per tutta la lunghezza del libro, narrandoci le vicende del dottore.
Ma non finisce qui: ad un certo punto nella narrazione lo stesso mostro creato da Frankenstein prende parola, raccontando la sua stessa storia in un altro flash-back.
Mio consiglio personale: sperimentate pure, ma con attenzione: bisogna essere davvero bravi, la Shelley se lo è potuto permettere, ma il rischio è quello di disorientare il lettore, che potrà perdere il punto di riferimento della narrazione.
Con questa tecnica, come ho detto sopra, è facile trasmettere la tensione, il pathos, ma non è altrettanto semplice creare colpi di scena o scrivere trame complicate: Ad esempio se si parla in prima persona sappiamo già che il protagonista non potrà morire (a meno che non sia un fantasy in cui resusciti o si reincarni o un horror e parli dalla tomba a mo’ di zombie).
Di solito quindi, a meno di usare i trucchetti appena descritti, in prima persona la trama sarà molto lineare.
Attenzione anche ai tempi, la prima persona al presente fa scorrere piacevolmente la storia, come se stesse accadendo tutto nel momento in cui leggiamo, però non cadiamo nell’errore di raccontare di cose non ancora successe o che il protagonista non può conoscere.
Esempio.
Seduto al bancone del bar ti guardo bere l’ennesimo drink, mi guardi, ti alzi, vuoi dirmi qualcosa, ma taci perché non sei in vena di rimorchiare, non sei in grado nemmeno di parlare con tutto quell’alcol in corpo.
Il nostro protagonista non può certo sapere intenzioni o pensieri di un altro personaggio, al massimo può intuirli o credere di conoscerli. Il brano qui sopra è quindi errato.
Al passato la narrazione diviene più riflessiva, come se il protagonista tirasse le somme della propria vita.
Ero un bambino timido e schivo, guardavo tutti di sottecchi, con le sopracciglia corrucciate e le mani in bocca, a sgranocchiare le unghie.
È un po’ come se il protagonista prendesse le distanze da se stesso raccontando la propria vita.
Quando è preferibile scrivere quindi in prima persona?
A mio avviso è preferibile scrivere in prima persona:
Quando il protagonista è uno solo ed è centrale nella storia.
Quando tutto passa attraverso gli occhi del protagonista. Si possono descrivere emozioni o pensieri di altri personaggi, ma non sono i loro reali pensieri, ma ciò che il protagonista pensa che gli altri pensino. Quando la narrazione è lineare e coerente con la linea temporale.
Assolutamente non adatta invece a storie con più protagonisti o molti personaggi che agiscono contemporaneamente.
Quale persona usare? parte seconda…. persona
SECONDA PERSONA
Se qualche mese fa mi avessero chiesto di pensare alla seconda persona avrei immaginato il testo scritto nelle caselle di un gioco in scatola : “stai fermo un turno” “Tira ancora i dadi”, oppure una guida turistica o una persona che dà indicazioni stradali: “Gira a destra al semaforo poi sempre dritto” o ancora il linguaggio delle pubblicità o di molti testi di brani musicali, o di alcuni manuali del fai da te . Anche i librogioco sono di solito scritti in seconda persona: il lettore prende il ruolo di un personaggio, come nei giochi di ruolo, e va avanti nell’avventura scegliendo tra una serie di bivi.
Poi sono venuta a conoscere il gruppo di facebook SCRITTORI CHE DANNO DEL TU e la scrittura in spsp (Seconda persona singolare presente) , incuriosita mi sono messa a sperimentare sia al passato che al presente e devo dire che i dubbi si sono dissipati: mi sembrava strano , non convenzionale, ma scrivendo invece mi è venuto molto spontaneo, mi sono divertita e il risultato non è stato male.
Andiamo a vedere di cosa si tratta:
“Te ne stavi sempre lì in disparte, immusonito e curvo sul banco, mentre gli altri scambiavano le merende o le figurine dei calciatori. Sempre col naso su quei libri ingialliti, che prendevi in prestito dalla biblioteca, sempre con quell’aria da chi è stato appena buttato giù dal letto.”
Questo l’incipit del racconto in cui mi sto cimentando a sperimentare la seconda persona.
Di solito il narratore, che può essere un personaggio che parla o un semplice narratore esterno, racconta la storia riferita ad un tu, il vero protagonista della storia.
Ho letto racconti in cui il narratore era addirittura un oggetto: uno specchio, un quadro, un lampione, che assistevano alla vita di una certa persona.
Esempi? Anche se non ci crederete, ce ne sono e parecchi, voglio citarvene alcuni di periodo storico, genere e stile molto diverso:
“Le ceneri di Gramsci” di Pasolini . Fa parte di una raccolta di poemetti in terzine. Il poeta, parla con la tomba di Antonio Gramsci, usa un tu diretto, schietto , il tanto citato tu che punta il dito :
Tu giovane, in quel maggio in cui l’errore
era ancora vita, in quel maggio italiano
che alla vita aggiungeva almeno ardore
……
“Mi chiederai tu, morto disadorno,
d’abbandonare questa disperata
passione di essere al mondo?”.
Poi sono venuta a conoscere il gruppo di facebook SCRITTORI CHE DANNO DEL TU e la scrittura in spsp (Seconda persona singolare presente) , incuriosita mi sono messa a sperimentare sia al passato che al presente e devo dire che i dubbi si sono dissipati: mi sembrava strano , non convenzionale, ma scrivendo invece mi è venuto molto spontaneo, mi sono divertita e il risultato non è stato male.
Andiamo a vedere di cosa si tratta:
“Te ne stavi sempre lì in disparte, immusonito e curvo sul banco, mentre gli altri scambiavano le merende o le figurine dei calciatori. Sempre col naso su quei libri ingialliti, che prendevi in prestito dalla biblioteca, sempre con quell’aria da chi è stato appena buttato giù dal letto.”
Questo l’incipit del racconto in cui mi sto cimentando a sperimentare la seconda persona.
Di solito il narratore, che può essere un personaggio che parla o un semplice narratore esterno, racconta la storia riferita ad un tu, il vero protagonista della storia.
Ho letto racconti in cui il narratore era addirittura un oggetto: uno specchio, un quadro, un lampione, che assistevano alla vita di una certa persona.
Esempi? Anche se non ci crederete, ce ne sono e parecchi, voglio citarvene alcuni di periodo storico, genere e stile molto diverso:
“Le ceneri di Gramsci” di Pasolini . Fa parte di una raccolta di poemetti in terzine. Il poeta, parla con la tomba di Antonio Gramsci, usa un tu diretto, schietto , il tanto citato tu che punta il dito :
Tu giovane, in quel maggio in cui l’errore
era ancora vita, in quel maggio italiano
che alla vita aggiungeva almeno ardore
……
“Mi chiederai tu, morto disadorno,
d’abbandonare questa disperata
passione di essere al mondo?”.
Rimanendo in poesia….
Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
Chi la riconosce?
È un assaggio de “La pioggia nel pineto” di D’annunzio. E qui non serve commentare.
“Apocalisse a domicilio” di Matteo B. Bianchi. Un romanzo dal ritmo incalzante e coinvolgente, personaggi molto reali, vivi, storia intensa e tragica, ma anche allegro, divertente.
“Le affinità alchemiche” di Gaia Coltorti, libro che ha fatto molto parlare di sé per la tematica particolare dell’amore incestuoso tra fratello e sorella.
E poi, il mio amato Calvino ne “Se una notte d’inverno un viaggiatore” In cui si narra di un lettore che prova a leggere un libro (appunto se una notte d’inverno un viaggiatore) ma deve per svariati motivi interrompersi e leggerne altri. Calvino scrive principalmente in seconda persona. Ma certamente… è Calvino, il libro sarebbe stato stupendo anche se scritto in terza o in prima, ma comunque perché non provare?
Questo solo per mostrarvi che non solo si può scrivere in seconda persona, ma lo si può fare anche in storie di vario genere, che non siano solo brevi racconti.
Tipico di questa forma è il romanzo epistolare, dove viene spontaneo parlare al destinatario della missiva.
Molto di effetto, secondo me, nel genere horror o giallo, in cui la suspense fa da padrona. Provo ad inventare un piccolo esempio:
“Le tende scure svolazzano placidamente nella notte estiva, mentre tu ti avvicini e la fissi mentre dorme inconsapevole. Senti il tuo cuore accelerare, un lieve velo di sudore imperla la tua fronte accaldata. Puoi già assaporare il gusto ferroso del sangue, lo senti nella bocca, nella gola e nelle narici.
Sei vicino ora, tanto vicino da percepire il calore del suo corpo assopito, bianco ed invitante.
Non puoi più aspettare, alzi la lama che scintilla alla luce della luna, piena e splendente, poi l’abbassi fulmineo e silenzioso.
Qualcosa non va come dovrebbe, lei apre gli occhi, li sbarra, non vuoi guardarla, rovinerà tutto, non vuoi vedere occhi accusatori, ma solo palpebre chiuse, misteriose e delicate…….”
Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
Chi la riconosce?
È un assaggio de “La pioggia nel pineto” di D’annunzio. E qui non serve commentare.
“Apocalisse a domicilio” di Matteo B. Bianchi. Un romanzo dal ritmo incalzante e coinvolgente, personaggi molto reali, vivi, storia intensa e tragica, ma anche allegro, divertente.
“Le affinità alchemiche” di Gaia Coltorti, libro che ha fatto molto parlare di sé per la tematica particolare dell’amore incestuoso tra fratello e sorella.
E poi, il mio amato Calvino ne “Se una notte d’inverno un viaggiatore” In cui si narra di un lettore che prova a leggere un libro (appunto se una notte d’inverno un viaggiatore) ma deve per svariati motivi interrompersi e leggerne altri. Calvino scrive principalmente in seconda persona. Ma certamente… è Calvino, il libro sarebbe stato stupendo anche se scritto in terza o in prima, ma comunque perché non provare?
Questo solo per mostrarvi che non solo si può scrivere in seconda persona, ma lo si può fare anche in storie di vario genere, che non siano solo brevi racconti.
Tipico di questa forma è il romanzo epistolare, dove viene spontaneo parlare al destinatario della missiva.
Molto di effetto, secondo me, nel genere horror o giallo, in cui la suspense fa da padrona. Provo ad inventare un piccolo esempio:
“Le tende scure svolazzano placidamente nella notte estiva, mentre tu ti avvicini e la fissi mentre dorme inconsapevole. Senti il tuo cuore accelerare, un lieve velo di sudore imperla la tua fronte accaldata. Puoi già assaporare il gusto ferroso del sangue, lo senti nella bocca, nella gola e nelle narici.
Sei vicino ora, tanto vicino da percepire il calore del suo corpo assopito, bianco ed invitante.
Non puoi più aspettare, alzi la lama che scintilla alla luce della luna, piena e splendente, poi l’abbassi fulmineo e silenzioso.
Qualcosa non va come dovrebbe, lei apre gli occhi, li sbarra, non vuoi guardarla, rovinerà tutto, non vuoi vedere occhi accusatori, ma solo palpebre chiuse, misteriose e delicate…….”
Perché scrivere in seconda persona?
Soprattutto al presente questa permette al lettore d’immedesimarsi, di vivere l’avventura da vicino, entrando nei panni di quel tu, sentendosi direttamente interpellato. ( Se dici tu ce l’hai con me!)
L’uso del ‘tu’ inoltre dà un certo senso di urgenza alla trama, molto adatto ad un certo tipo di ‘scene’:
“Il cuore batte all’impazzata mentre a grandi falcate percorri l’intero viale, scendi le scale della stazione a due a due, sperando di essere ancora in tempo e pregando di non inciampare. Senti il treno fischiare e spintoni un tizio davanti a te, che impreca. Devi farcela, non puoi permetterti un altro ritardo, non oggi…”
Pericoli della seconda persona
Il primo insidioso rischio è quello di narrare un elenco di azioni:
“Ti alzi dal letto, hai ancora sonno, sbadigli, infili le ciabatte e ti rechi in cucina, metti su il caffè, ti siedi e leggi il giornale”
A chi legge sembra quasi che manchi il fiato per star dietro a tutte queste azioni, in una riga ci hanno annoiato, figuriamoci in un racconto o addirittura un romanzo! Meglio alleggerire le frasi, spezzare le descrizioni.
“Ti alzi dal letto, insonnolito, infili le ciabatte sbadigliando e trascini i piedi fino alla cucina. Mentre il caffè inizia a borbottare, te ne stai lì seduto a leggere il giornale.”
Un altro rischio è quello che il lettore immedesimandosi con il tu, si senta un po’ disorientato quando questo tu è molto diverso dalla sua indole, personalità o fisicità. Come ho detto prima, se dai del tu parli di me, mi stai raccontando la mia storia… ma se non mi ritrovo in quella storia?
Esempio.
“Finalmente sei rientrato a casa (immagino la mia casa, inizio a percepirne le sensazioni. Odore, calore…), Momo ti viene incontro facendo le fusa (Momo? Un gatto? Io sono allergica al pelo dei gatti!) ti stendi sul divano, malinconico e solo, nel silenzio freddo dell’appartamento (Ma che dice questo? La mia casa non è mai silenziosa e vuota e se lo fosse ne approfitterei per rilassarmi!)
Ovviamente come al solito ho esagerato, ma la sensazione di straniamento si può effettivamente percepire in questo tipo di racconti.
Questo è a mio avviso un problema di scarsa rilevanza: se la storia vale, se è raccontata bene, il disagio o la strana sensazione iniziale passa o comunque viene percepita come cosa positiva, nuova e interessante.
Se l’autore ci sa fare, lo straniamento viene sostituito da una voce non invadente che accompagna nella lettura, passo, passo.
La seconda persona è a mio avviso da evitare invece nei saggi, nelle ricerche, in cui si vuole argomentare e persuadere il lettore, l’eccessivo tono colloquiale e confidenziale del tu svilirebbe il lavoro, che dovrebbe mantenere una certa aura di distacco.
Però la trama non è il libro: si può avere un’ottima idea, originale, ma non riuscire a renderla, quanti di voi si sono già sentiti rispondere da un editore: “originale l’idea, o interessante, ma non nei nostri canoni”? oppure “non adatta alla pubblicazione”?
E magari avrete pensato: ‘ma come , se l’idea è buona non potevano dargli una sistemata e pubblicare?’
Eh no, non è così semplice, a volte l’idea grezza è ottima, ma si è fatto un tale pasticcio nel riportarla che bisognerebbe riscriverla di sana pianta. Avete letto Iq84 di Murakami Haruki? Ecco, per chi non l’avesse ancora fatto, c’è una storia, affascinante e con delle potenzialità e al protagonista viene proposto di imbrogliare riscrivendola al posto dell’autrice, perché potrebbe diventare un capolavoro, ma solo se scritto dalle mani giuste.
Oltre alla storia c’è altro: il modo di narrare, di saper coinvolgere il lettore, di descrivere persone e luoghi, ma soprattutto la capacità di trasmettere emozioni attraverso la parola scritta, queste sono capacità che differenziano lo scribacchino, da chi ha talento. Poniamo un esempio, uno qualunque, Il processo di Kafka è la storia di un uomo messo in prigione ingiustamente, I promessi sposi la storia di un amore ostacolato.
La divina commedia la suddivisione e collocazione di vari personaggi, immaginari e reali,in base ai loro presunti peccati…. Tutto qui? Sì, tutto qui, ma è il modo di narrare che rende la storia avvincente e fa la differenza tra schifezza e capolavoro, comprendendo tutti i gradi che possono starci in mezzo.
Soprattutto al presente questa permette al lettore d’immedesimarsi, di vivere l’avventura da vicino, entrando nei panni di quel tu, sentendosi direttamente interpellato. ( Se dici tu ce l’hai con me!)
L’uso del ‘tu’ inoltre dà un certo senso di urgenza alla trama, molto adatto ad un certo tipo di ‘scene’:
“Il cuore batte all’impazzata mentre a grandi falcate percorri l’intero viale, scendi le scale della stazione a due a due, sperando di essere ancora in tempo e pregando di non inciampare. Senti il treno fischiare e spintoni un tizio davanti a te, che impreca. Devi farcela, non puoi permetterti un altro ritardo, non oggi…”
Pericoli della seconda persona
Il primo insidioso rischio è quello di narrare un elenco di azioni:
“Ti alzi dal letto, hai ancora sonno, sbadigli, infili le ciabatte e ti rechi in cucina, metti su il caffè, ti siedi e leggi il giornale”
A chi legge sembra quasi che manchi il fiato per star dietro a tutte queste azioni, in una riga ci hanno annoiato, figuriamoci in un racconto o addirittura un romanzo! Meglio alleggerire le frasi, spezzare le descrizioni.
“Ti alzi dal letto, insonnolito, infili le ciabatte sbadigliando e trascini i piedi fino alla cucina. Mentre il caffè inizia a borbottare, te ne stai lì seduto a leggere il giornale.”
Un altro rischio è quello che il lettore immedesimandosi con il tu, si senta un po’ disorientato quando questo tu è molto diverso dalla sua indole, personalità o fisicità. Come ho detto prima, se dai del tu parli di me, mi stai raccontando la mia storia… ma se non mi ritrovo in quella storia?
Esempio.
“Finalmente sei rientrato a casa (immagino la mia casa, inizio a percepirne le sensazioni. Odore, calore…), Momo ti viene incontro facendo le fusa (Momo? Un gatto? Io sono allergica al pelo dei gatti!) ti stendi sul divano, malinconico e solo, nel silenzio freddo dell’appartamento (Ma che dice questo? La mia casa non è mai silenziosa e vuota e se lo fosse ne approfitterei per rilassarmi!)
Ovviamente come al solito ho esagerato, ma la sensazione di straniamento si può effettivamente percepire in questo tipo di racconti.
Questo è a mio avviso un problema di scarsa rilevanza: se la storia vale, se è raccontata bene, il disagio o la strana sensazione iniziale passa o comunque viene percepita come cosa positiva, nuova e interessante.
Se l’autore ci sa fare, lo straniamento viene sostituito da una voce non invadente che accompagna nella lettura, passo, passo.
La seconda persona è a mio avviso da evitare invece nei saggi, nelle ricerche, in cui si vuole argomentare e persuadere il lettore, l’eccessivo tono colloquiale e confidenziale del tu svilirebbe il lavoro, che dovrebbe mantenere una certa aura di distacco.
Quale persona usare? parte terza…. persona
La trama
La trama è l’essenza della storia, anzi, è la storia stessa, che facciamo vivere ai nostri personaggi. È la prima cosa che ci viene in mente, l’idea che ci spinge a sederci, prendere la penna o il pc per riversarla e farla sbocciare davanti ai nostri occhi, fissandola nero su bianco.Però la trama non è il libro: si può avere un’ottima idea, originale, ma non riuscire a renderla, quanti di voi si sono già sentiti rispondere da un editore: “originale l’idea, o interessante, ma non nei nostri canoni”? oppure “non adatta alla pubblicazione”?
E magari avrete pensato: ‘ma come , se l’idea è buona non potevano dargli una sistemata e pubblicare?’
Eh no, non è così semplice, a volte l’idea grezza è ottima, ma si è fatto un tale pasticcio nel riportarla che bisognerebbe riscriverla di sana pianta. Avete letto Iq84 di Murakami Haruki? Ecco, per chi non l’avesse ancora fatto, c’è una storia, affascinante e con delle potenzialità e al protagonista viene proposto di imbrogliare riscrivendola al posto dell’autrice, perché potrebbe diventare un capolavoro, ma solo se scritto dalle mani giuste.
Oltre alla storia c’è altro: il modo di narrare, di saper coinvolgere il lettore, di descrivere persone e luoghi, ma soprattutto la capacità di trasmettere emozioni attraverso la parola scritta, queste sono capacità che differenziano lo scribacchino, da chi ha talento. Poniamo un esempio, uno qualunque, Il processo di Kafka è la storia di un uomo messo in prigione ingiustamente, I promessi sposi la storia di un amore ostacolato.
La divina commedia la suddivisione e collocazione di vari personaggi, immaginari e reali,in base ai loro presunti peccati…. Tutto qui? Sì, tutto qui, ma è il modo di narrare che rende la storia avvincente e fa la differenza tra schifezza e capolavoro, comprendendo tutti i gradi che possono starci in mezzo.
COME SI CREA UNA TRAMA?
Abbiamo parlato nell’articolo precedente del protagonista, degli ostacoli che ha nel riuscire a raggiungere lo scopo prefissato, o la rottura di un equilibrio iniziale. Questi mutamenti danno origine al dipanarsi della nostra storia, la trama appunto. Indipendentemente dal genere, questi ostacoli creano una serie di conflitti che fanno salire la tensione fino all’apice, dopo di ché segue la risoluzione del problema. Non sempre questo significa lieto fine, significa solo che la questione si risolve, in un modo o nell’altro.
Poi la trama potrà essere lineare: conflitto- pathos- risoluzione, oppure andare a ritroso: iniziate quando il tutto si è già risolto per tornare indietro nel tempo attraverso racconti, flashback e qualsiasi altra cosa vi venga in mente.
Abbiamo parlato nell’articolo precedente del protagonista, degli ostacoli che ha nel riuscire a raggiungere lo scopo prefissato, o la rottura di un equilibrio iniziale. Questi mutamenti danno origine al dipanarsi della nostra storia, la trama appunto. Indipendentemente dal genere, questi ostacoli creano una serie di conflitti che fanno salire la tensione fino all’apice, dopo di ché segue la risoluzione del problema. Non sempre questo significa lieto fine, significa solo che la questione si risolve, in un modo o nell’altro.
Poi la trama potrà essere lineare: conflitto- pathos- risoluzione, oppure andare a ritroso: iniziate quando il tutto si è già risolto per tornare indietro nel tempo attraverso racconti, flashback e qualsiasi altra cosa vi venga in mente.
Fattore importante è il cambiamento: arrivato alla fine il protagonista sarà cresciuto, avrà imparato dalle proprie azioni o rivedrà la sua storia con occhi diversi e il lettore con lui. Una storia che ci lascia alla fine con la nostra idea iniziale è una storia che non ci avrà regalato nulla, non ci avrà arricchito.
Ricordatevi sempre che non c’è la trama perfetta, ma un insieme di fattori che contribuiscono a creare un buon libro o uno mediocre.
Uno di questi fattori, da tener sempre presente quando scriviamo, è LA MOTIVAZIONE, una volta stabilita quella sarà molto più facile far muovere, parlare, interagire i nostri personaggi: se abbiamo un cattivo, la motivazione che lo spinge ad odiare il nostro eroe, o il mondo intero, la motivazione che spinge i nostri protagonisti a perseguire il loro scopo:
Cappuccetto rosso prende la strada breve per andare dalla nonna perché vuole più tempo per raccogliere i fiori e ciò la porta a disobbedire alle raccomandazioni della mamma. Il lupo architetta un piano diabolico e fantasioso perché vuole mangiarla.
Nel mago di Oz ognuno dei protagonisti vuole chiedere qualcosa al mago, che desidera intensamente.
E potrei elencarvene all’infinito, ma andiamo avanti nel costruire la nostra trama, che linee guida seguire?.
Il famoso schema delle 5 “W”, che il mio prof non finiva mai di nominare, è sempre valido : WHO, WHAT, WHEN, WHERE, WHY? ( chi, cosa, quando e dove?). Rispondendo a queste semplici domande la nostra trama inizierà a dipanarsi.
Ma come? Sarà utile fare uno schema di come gli eventi si concateneranno.
STRUTTURA
La nostra trama dovrà essere organizzata seguendo una struttura decisa a priori.
Ricordatevi sempre che non c’è la trama perfetta, ma un insieme di fattori che contribuiscono a creare un buon libro o uno mediocre.
Uno di questi fattori, da tener sempre presente quando scriviamo, è LA MOTIVAZIONE, una volta stabilita quella sarà molto più facile far muovere, parlare, interagire i nostri personaggi: se abbiamo un cattivo, la motivazione che lo spinge ad odiare il nostro eroe, o il mondo intero, la motivazione che spinge i nostri protagonisti a perseguire il loro scopo:
Cappuccetto rosso prende la strada breve per andare dalla nonna perché vuole più tempo per raccogliere i fiori e ciò la porta a disobbedire alle raccomandazioni della mamma. Il lupo architetta un piano diabolico e fantasioso perché vuole mangiarla.
Nel mago di Oz ognuno dei protagonisti vuole chiedere qualcosa al mago, che desidera intensamente.
E potrei elencarvene all’infinito, ma andiamo avanti nel costruire la nostra trama, che linee guida seguire?.
Il famoso schema delle 5 “W”, che il mio prof non finiva mai di nominare, è sempre valido : WHO, WHAT, WHEN, WHERE, WHY? ( chi, cosa, quando e dove?). Rispondendo a queste semplici domande la nostra trama inizierà a dipanarsi.
Ma come? Sarà utile fare uno schema di come gli eventi si concateneranno.
STRUTTURA
La nostra trama dovrà essere organizzata seguendo una struttura decisa a priori.
L’INCIPIT è l’inizio del nostro romanzo o racconto, e sono convinta nell’affermare che sia una delle parti più importanti dell’intero testo: In base a quello molti lettori decideranno se proseguire o accantonare il libro.
Se sarete molto fortunati e il vostro incipit veramente ‘col botto’ potrete essere ricordati.
Ecco alcuni incipit famosi e famosissimi:
“Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita.”
Divina commedia
Se sarete molto fortunati e il vostro incipit veramente ‘col botto’ potrete essere ricordati.
Ecco alcuni incipit famosi e famosissimi:
“Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita.”
Divina commedia
“Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa – non importa quanti esattamente – avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m’interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. È un modo che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione”
Moby Dick
Moby Dick
“Qualcuno doveva aver diffamato Josef K. perché, senza che avesse fatto nulla di male, una mattina venne arrestato”
Il processo
Il processo
“Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c’è sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri: «No, non voglio vedere la televisione!» Alza la voce, se no non ti sentono: «Sto leggendo! Non voglio essere disturbato!» Forse non ti hanno sentito, con tutto quel chiasso; dillo più forte, grida: «Sto cominciando a leggere il nuovo romanzo di Italo Calvino!» O se non vuoi non dirlo; speriamo che ti lascino in pace”
Se una notte d’inverno un viaggiatore (uno dei miei incipit preferiti :-))
“Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall’ospizio: “Madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti.” Questo non dice nulla: è stato forse ieri. L’ospizio dei vecchi è a Marengo, a ottanta chilometri da Algeri. Prenderò l’autobus delle due e arriverò ancora nel pomeriggio. Così potrò vegliarla e essere di ritorno domani sera. Ho chiesto due giorni di libertà al principale e con una scusa simile non poteva dirmi di no. Ma non aveva l’aria contenta. Gli ho persino detto: “Non è colpa mia.” Lui non mi ha risposto. Allora ho pensato che non avrei dovuto dirglielo”.
Lo straniero
Ok, ora la smetto, vi siete fatti un’idea?
Se una notte d’inverno un viaggiatore (uno dei miei incipit preferiti :-))
“Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall’ospizio: “Madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti.” Questo non dice nulla: è stato forse ieri. L’ospizio dei vecchi è a Marengo, a ottanta chilometri da Algeri. Prenderò l’autobus delle due e arriverò ancora nel pomeriggio. Così potrò vegliarla e essere di ritorno domani sera. Ho chiesto due giorni di libertà al principale e con una scusa simile non poteva dirmi di no. Ma non aveva l’aria contenta. Gli ho persino detto: “Non è colpa mia.” Lui non mi ha risposto. Allora ho pensato che non avrei dovuto dirglielo”.
Lo straniero
Ok, ora la smetto, vi siete fatti un’idea?
Dopo l’incipit abbiamo la FASE DESCRITTIVA O STATICA, è una parte in cui si descrive la vita del protagonista prima del ‘fatto clou’.
In un crescendo sempre più serrato si arriva all’APOGEO, in cui il pathos e il coinvolgimento dovrebbe essere massimo.
La RISOLUZIONE, nel bene o nel male, il classico lieto fine, o comunque la conclusione.
L’EPILOGO, dove si racconta ciò che accade dopo, a distanza di tempo dei fatti narrati.
Ognuno di questi punti può essere come sempre scombinato o stravolto dalla vostra fantasia ed estro creativo, questo lo schema lineare e semplice per una trama standard, per chi si addentra ora in questo vasto e straordinario mondo della scrittura.
Provate a seguirlo o a sconvolgerlo, esercitandovi e divertendovi, e se volete postate nel nostro apposito spazio nel sito i risultati. Stupiteci!
In un crescendo sempre più serrato si arriva all’APOGEO, in cui il pathos e il coinvolgimento dovrebbe essere massimo.
La RISOLUZIONE, nel bene o nel male, il classico lieto fine, o comunque la conclusione.
L’EPILOGO, dove si racconta ciò che accade dopo, a distanza di tempo dei fatti narrati.
Ognuno di questi punti può essere come sempre scombinato o stravolto dalla vostra fantasia ed estro creativo, questo lo schema lineare e semplice per una trama standard, per chi si addentra ora in questo vasto e straordinario mondo della scrittura.
Provate a seguirlo o a sconvolgerlo, esercitandovi e divertendovi, e se volete postate nel nostro apposito spazio nel sito i risultati. Stupiteci!
Nessun commento:
Posta un commento