Ciao bella gente! Oggi vi presento il romanzo di Antonio Infuso: lotta contro il bene e il male, vendetta , giustizia e ingiustizia, essenza e apparenza questi i temi toccati. Il commissario Stefano Vega indaga su un omicidio di una donna, insieme alla sua squadra, alla ricerca della verità.
AUTORE: Antonio Infuso -
EDITORE: GDS edizioni
GENERE: poliziesco/noir
PAGINE: 250
PREZZO: Cartaceo: Euro 14 - ebook: Euro 2,99 –
LINK ACQUISTO:
https://l.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fwww.amazon.it%2Fcommissario-Vega-Indagine-sola-andata-ebook%2Fdp%2FB00VDMI696%3Fie%3DUTF8%26keywords%3Dcommissario%2520vega%26qid%3D1461419961%26ref_%3Dsr_1_1%26s%3Ddigital-text%26sr%3D1-1&h=bAQGeLmuo
“Il commissario Vega – Indagine di sola andata” (Antonio Infuso - Gds)
“Vega non era un uomo propenso al rancore, ma quando odiava lo faceva per bene, con il cuore. Attendeva un'occasione. E l'attendeva da tre anni, sette mesi, sedici giorni e qualche ora”.
SINOSSI
I molti volti della vendetta, il labile confine tra bene e male, la verità come valore negoziabile, la precaria bilancia della giustizia, essenza e apparenza, l'omicidio gratuito o necessario, la regola del contrappasso, il compromesso con il nemico. In una Torino pulsante, sensuale, densa di colori, tra albe e tramonti, tra sole e pioggia, tra oscurità e luce, il commissario Stefano Vega indaga insieme alla sua squadra. E più scaverà nell'inchiesta e rovisterà nei misteri dell'omicidio di una donna dalle molte sfaccettature – in cui sono coinvolti anche i servizi segreti – più scandaglierà la sua anima di uomo cinico ma altruista e di poliziotto caparbio ma disilluso. La menzogna è sempre una sconfitta per l'umanità. Vega rischierà la vita, in una tumultuosa indagine di sola andata, per scoprire la verità. Ma tenterà di cogliere anche un'opportunità.
ECCOVI UN ESTRATTO......
Tutte le verità sono facili da capire una volta che sono rivelate; il difficile è scoprirle. (Galileo Galilei)
Primo giorno, giovedì
«A Porta Pila, dietro il mercato del pesce, c'è il corpo di una donna. È nuda e morta».
Fu questo il laconico messaggio pronunciato da una voce non giovane e con accento toscano; poi solo il “click” che interruppe la telefonata.
Erano le tre e quarantasette, in piena notte, di un giovedì di inizio primavera.
A rispondere alla chiamata, direttamente nel suo ufficio, fu il giovane commissario Filippo Montesi, romano, trentaquattrenne, da poche settimane alla omicidi di Torino. Montesi si preparava a prendere il posto del commissario capo Giuseppe Ruggeri, ormai prossimo alla pensione e che si stava godendo le molte ferie arretrate. Sarebbe rientrato in Questura solo per la festa d'addio.
L'arrivo di Montesi, nei primi di marzo, destò nella sezione qualche perplessità.
Giungeva dalla omicidi di Ancona, dopo essere stato a Roma, Perugia e in altro paio di città del centro Italia. Suo nonno aveva occupato, un paio di volte, la poltrona di ministro; uno zio era stato un generale dell'esercito, con ruoli delicati anche nei servizi; mentre suo padre, deceduto da circa un anno, fu Procuratore della Repubblica a Modena.
Molti dicevano che era un bravo sbirro, ma la veloce carriera e le parentele importanti facevano supporre alcune facilitazioni. E il prossimo incarico di commissario capo alla omicidi torinese pareva confermare la bontà di appoggi in alto loco.
«Currieri, avvisa le volanti. Forse c'è il cadavere di una donna a Porta Palazzo, vicino al mercato del pesce. Se confermano, informa la scientifica, il medico e il magistrato di turno», disse Montesi, entrando in un ampio salone che ospitava diverse scrivanie e con una mezza dozzina di investigatori impegnati nel servizio notturno.
L'ispettore Angelo Currieri obbedì e dieci minuti dopo era in auto insieme al commissario: si stavano dirigendo, a sirene spiegate, verso Piazza della Repubblica.
Il cadavere c'era davvero.
Quattro volanti li attendevano intorno a un corpo coperto da un lenzuolo.
Era una donna, forse quarantenne, lunghi capelli neri, completamente nuda e decisamente morta.
La notte era ancora fresca e le luci dei lampioni non erano sufficienti a illuminare quella povera donna abbandonata – con troppo anticipo e certamente contro la sua volontà – dal calore della vita.
Non vi erano tracce di evidenti violenze fisiche o sessuali e nemmeno ferite da taglio, da armi da fuoco o da difesa; il corpo era freddo.
Non era deceduta da poco e non era morta nemmeno in quel luogo.
Questo apparve subito chiaro al commissario e agli uomini della scientifica che erano già impegnati nei rilievi e che avevano provveduto a migliorare, con alcuni fari, la visibilità di quella notte.
Torino si sarebbe risvegliata con un'altra tragica storia di cronaca nera.
«Sarà morta da almeno ventiquattro ore. Ma potrò essere più preciso dopo l'autopsia. Lei è il nuovo commissario venuto da Ancona? Piacere, sono Giacomo Forte, il medico legale. Non abbiamo ancora avuto modo di conoscerci».
Forte era un uomo che da almeno trent'anni dava retta solo ai cadaveri e che, spesso, aveva aiutato il vecchio commissario Ruggeri a risolvere casi intricati.
Alto, sovrappeso, sigaro sempre tra la labbra, molti capelli bianchi e lunghi; non era sposato, niente figli; insomma, il tipico solitario innamorato del proprio lavoro.
«Dottore che ne pensa? Come è morta?», domandò Montesi.
«Avvelenamento con il cianuro, credo. Ci sono macchie ipostatiche. Ma c'è una stranezza. Lo sente questo odore, commissario?».
«Sì, ma siamo a ridosso del mercato del pesce».
«Si tratta di candeggina, non di ammoniaca. Il corpo della donna emana questo odore».
«Vuol dire che potrebbero averla immersa nella candeggina?».
«O lavata per bene, commissario. È un buon modo per cancellare qualunque traccia di Dna estraneo. Potrebbe non essere il lavoro di uno sprovveduto. Poveraccia, così bella e ancora così giovane. Che brutta fine».
Montesi cercò lo sguardo di Currieri, entrambi provarono pietà per la donna.
«E poi, commissario, vede questo tatuaggio?», proseguì il medico indicando una zona appena al di sopra del coccige.
Montesi annuì.
«È fresco. Al massimo due o tre giorni. Effettuato mentre era ancora viva», disse Forte.
«Che cosa raffigura?», chiese il commissario.
«Sembrerebbe una testa di toro».
Nel frattempo era giunto il Procuratore Vincenzo Massafra; dopo i saluti, anche l'attenzione del magistrato si concentrò sul tatuaggio: «Potrebbe averla marchiata l'assassino».
E ancora il medico: «Le hanno pure bruciato i polpastrelli, quindi niente impronte digitali».
Nessun commento:
Posta un commento