Il caldo che sale dall’asfalto rovente, mi stordisce, lo sento sulla pelle, nei polmoni e nella mente offuscata. Le mani scivolose minacciano di far cadere la pila di libri che tengo in mano, mentre gli occhiali continuano a scivolare sul naso. Mi guardo intorno alla ricerca di un posto, uno qualunque, purché dotato di aria condizionata.Una macelleria, un tabaccaio e un’edicola, gli unici locali pubblici in questo maledetto quartiere residenziale, poi alzo lo sguardo, facendomi scudo con un libro per il riverbero, e lo vedo: ‘Hotel Apollo’.Prendo fiato, drizzo la schiena facendomi coraggio. Con i miei volumi stretti tra le braccia mi dirigo verso l’ingresso, salgo i larghi gradini di pietra, entro. Un lungo tappeto rosso accompagna i miei passi incerti fino alla reception.“Buongiorno”Sobbalzo al suono di quella voce “Ehm, salve, volevo sapere se avete un BAR”Un ragazzo mi guarda come se fossi un’aliena, istintivamente mi sistemo gli occhiali sul naso e liscio la mia gonna stropicciata.“A destra, subito dopo le porte a vetri”Ringrazio e mi dirigo verso la direzione indicata, respirando l’aria fresca del locale.Entrando mi colpisce il lusso: tutto splende, dal legno laccato ai lampadari, devo stonare come un sassolino tra le perle, fortuna il locale è deserto, soltanto un uomo seduto a bere e lavorare. Sospetto di essere finita in un´altra galassia.Mi siedo in modo che non mi noti troppo e mentre aspetto il cameriere il mio sguardo viene attratto da lui. Elegante, sulla trentina, capelli corvini, naso dritto e sguardo corrucciato, intento a leggere qualcosa sullo schermo del suo portatile. Sorrido amaramente pensando a come devo apparire io: capelli legati alla meglio con un elastico, maglietta con Snoopy, sopra la gonna di cotone di jeans, occhiali da secchiona, beh, è quello che sono dopotutto, una che ama i libri, che ci ficca dentro il naso da quando non sapeva ancora cosa significassero quei segni stampati vicino alle splendide figure. Libri che mi porto dietro ovunque, libri per ogni evenienza: quelli universitari, perché tra poco iniziano gli esami, manuali di ogni tipo e … le immancabili storie che raccontano le gesta di eroine cui vorrei somigliare: bellissime, coraggiose e intraprendenti. Mi perdo come al solito nelle mie fantasticherie fissando l’uomo spudoratamente, cercando d’immaginare la sua vita. È solo, sarà cliente dell’hotel, magari in viaggio di lavoro o si sarà rifugiato dal caldo come me? Lo vedo sorridere tra sé, ha un sorriso delizioso e delle labbra sensuali. D’improvviso lui alza gli occhi e mi fissa per un istante. Il mio cuore fa una capriola talmente improvvisa da darmi un lieve capogiro. Sento salire il rossore, dal petto fino alla radice dei capelli, abbasso lo sguardo repentinamente, mentre inizio a sistemarmi spasmodicamente gli occhiali sul naso, nel mio consueto tic che compare quando sono nervosa. Come una pazza mi chiedo se avrà intuito i miei pensieri indiscreti su di lui.Non ho il coraggio di rialzare lo sguardo, apro un libro a caso, ma le lettere ballano tra le pagine, sembrano sbeffeggiarmi.Rivedo i suoi occhi blu scuro e sento un’altra vampata di calore salirmi al volto, mentre le orecchie fischiano forte, superando il rombo del mio cuore nel petto...................................
Finalmente un po’ di frescura, il treno partirà alle 19:00 e ho mezza giornata da perdere, maledette prenotazioni on line, devo aver cliccato male il rientro ed ora sono in un hotel a bere un caffè senza saper cos’altro fare. Il mio telefono è scarico e non ho nemmeno per caricarlo, come si dice 'le disgrazie non vengono mai sole': mai in vita mia esco senza la sicurezza del caricabatteria, soprattutto se sono fuori per lavoro, mai tranne oggi, la giornata delle scocciature. Accendo il portatile, almeno posso lavorare un po’.Il bar è deserto, saranno tutti al mare a quest’ora, e pensare che il meteo dava pioggia, mai previsione è stata meno azzeccata: 35 gradi all’ombra e un sole che soffoca appena si mette il naso fuori.Ecco qualcuno, la porta a vetri si apre, ma non ho voglia di alzare la testa dal pc, di tavoli ce ne sono a bizzeffe, che non mi venissero a scocciare qui.Apro le mail. 64 messaggi non letti, 5 sono mail di Marta, sbuffo e le elimino senza leggerle. Che vada al diavolo, lei e il suo broncio per la vacanza rimandata, il lavoro è lavoro, non che mi sia divertito a venire fin qui a partecipare a questa riunione improvvisata. Mi sale un improvviso sorriso gongolante alle labbra pensando alle centinaia di chiamate che avrà fatto e alla rabbia nel sentire la segreteria telefonica. Dopotutto non tutti i mali vengono per nuocere.Sono stanco di lei, da troppo tempo, assuefatto ai suoi capricci infantili, al suo pretendere senza dare.Un impulso improvviso mi fa alzare lo sguardo, mi sento osservato.La ragazza al tavolo di fronte mi guarda attraverso lenti lievemente appannate di occhiali dalla spessa montatura, sorrido, è un po’ buffa e alquanto infantile nell’abbigliamento.Abbassa immediatamente lo sguardo e la vedo arrossire in un modo che pensavo esistesse solo nei cartoni animati.La osservo aspettando che alzi lo sguardo,divertito, ma lei non lo fa, sembra intenta nella lettura, osservo le sue mani che torcono il bordo di una pagina, stropicciandola. È deliziosamente in imbarazzo e continuo a sorridere divertito, dimenticando Marta, il cellulare scarico e il treno da attendere.
........................................................................Mi sono calmata abbastanza, provo ad alzare lo sguardo, piano, come per non far rumore. Nuova stilettata al cuore, lui è lì che mi fissa con quei suoi occhi blu e lo sguardo sornione. Mi prende in giro e io mi sento terribilmente inadeguata. Mi rituffo nel libro e aspetto di calmarmi.Non resisto più, sento il suo sguardo su di me e non so dove nascondermi, le orecchie continuano a fischiare. Decido che è l’ora di uscire prima che mi scoppi una coronaria. Afferro i libri alzandomi di scatto, alcuni cadono, li raccolgo frettolosamente. Quasi corro su quel tappeto rosso, troppo elegante per le mie scarpette di tela, incespico sul gradino mentre un muro d’aria bollente mi colpisce, facendomi mancare quella poca aria rimasta nei polmoni, mentre annaspo e continuo a camminare, fuggendo dai miei stessi pensieri.Mi fiondo sul primo autobus che mi passa davanti, ancora sconvolta per quel nonnulla, per quello che non potrà mai essere. Afferro la maniglia e mi ci aggrappo, come ad impedirmi di affogare, mentre inutili lacrime amare bruciano nei miei occhi e scendono nella gola.Il paesaggio si apre dopo una curva e lo vedo, è lì il mare, in tempesta come la mia anima. E come trasformato con il mio umore il tempo è mutato: grossi nuvoloni scuri, carichi di pioggia si vedono all’orizzonte. Chiamo la fermata e scendo, di nuovo corro, scappo via, faccio quel che so fare meglio: mi nascondo, evito di mettermi in gioco, innalzo la spessa corazza a difendermi dalle troppe delusioni. Mi siedo sugli scogli, mentre gli spruzzi salmastri si mescolano alle mie lacrime.Il mare. Potevamo esser destinati ad essere come le onde di questo mare inseguendoci e mescolandoci nel turbinio della passione, o cullandoci al ritmo lento del cuore calmo, la sera, invece tu rimani lì ignorando tutto di me, ridendo forse di quella goffa creatura che solo per un attimo ha incrociato la tua vita. Un attimo sì, che poteva racchiudere l’eternità. L’attimo in cui i miei occhi si sono persi nei tuoi, l’attimo in cui tutto poteva ancora essere. L’attimo del bivio, l’attimo in cui avresti ancora potuto alzarti e venire da me, avresti potuto sorridere, avresti potuto stringere la mia mano nella tua.Ora le lacrime non scendono più, il sole scalda la mia pelle, mentre la forte brezza marina l’accarezza. Un attimo sì, ma un solo attimo vissuto in un’emozione è meglio di mille attimi passati nel nulla.Sono rabbiosa contro il mio stesso essere, devo davvero finirla di scappare, sembra che nella vita non abbia saputo far altro.Il mare ruggisce, come in risposta ai miei pensieri, mentre sento una mano poggiarsi sulla spalla, alzo lo sguardo, attraverso le lenti appannate lo vedo appena: una sagoma sfocata, alta, elegante si china e si siede accanto a me. Spalanco la bocca, pulendo le lenti sulla gonna.“Ciao” dice semplicemente.La vita a volte è complicata, altre è semplice, come ora, arriva quel sorriso tanto atteso, arriva inaspettato, arriva entrando nella mia anima con l’impeto di quelle onde che rumoreggiano di sottofondo. ..........................................La guardo sorridendo, ma lei sembra offendersi, di scatto si alza, i libri rotolano sul pavimento, li raccatta, sembra sconvolta e infuriata. Cos’ho sbagliato? Perché si è offesa per uno sguardo?La guardo uscire di corsa allibito, mentre il cameriere si blocca con il bicchiere d’acqua traballante sul vassoio, anche lui stupito per quell’improvvisa furia.Esco, l’afa è quasi insopportabile e l’umidità preannuncia un imminente temporale estivo, certo, non poteva esser diversamente in una giornata come questa, ovviamente non ho l’ombrello.Un autobus sopraggiunge e all’ultimo momento la vedo salire. Perduta. Questo pensiero mi dà un assurdo senso di vuoto. M’incammino per la strada in discesa pensando che non potrò mai chiederle perché diavolo è scappata.Passa una panda sgangherata, intravedo il cappello del guidatore e il muso di un cagnetto spuntare dal finestrino, la lingua di fuori a prendere un po’ di aria.“Ehi, ehi!” grido.L’auto, che procedeva a passo di lumaca si ferma. Corro al finestrino:“Mi può dare un passaggio?”L’uomo mi guarda con sospetto, lo sguardo stretto, il volto abbronzatissimo, segnato da profonde rughe:“Monta!” dice solo.Salgo mentre l’uomo caccia il cane nel sedile posteriore.Il puzzo di cane e di cipolle mi assale, mischiato a quello di tabacco stantio di milioni di sigarette fumate senza arieggiare. Ringrazio il cielo che è estate e il finestrino spalancato, sghignazzo come uno scolaretto, al pensiero che il cane potesse sporgere il muso per il mio stesso motivo.“Dove?”Chiede il vecchio.“Eh?” non capisco che vuole.“Dove vai!” insiste lui e improvvisamente ricordo perché sono salito e mi sento un perfetto idiota:“Ehm, dovevo prendere quella corriera appena passata, sa dove va?”L’uomo mi fissa sempre più sospettoso, guarda lo sportello e penso che sta per farmi scendere.“C’è una ragazza sopra e devo … devo restituirle una cosa che ha perso in un bar” invento lì per lì.Non dice nulla, ma parte.La strada s’incurva pericolosamente in un tornante e vedo uno spettacolo mozzafiato: il mare, vicinissimo e burrascoso e all’orizzonte nuvoloni neri come pece, si iniziano a sentire i primi tuoni mentre sul vetro batte ancora forte il sole. Paesaggio surreale. Giungiamo ad un porticciolo, vedo la corriera molto più avanti che si inerpica già nella salita successiva, poi lo sguardo viene catturato da un’unica figura sul molo.“Eccola!” grido. L’uomo si ferma e io scendo al volo gracchiando un ringraziamento. Le scarpe eleganti scivolano sugli scogli bagnati. Mi fermo un istante a toglierle e a rimboccare i pantaloni. Lei è lì di schiena, seduta a contemplare il mare.‘Che razza di strana creatura’ penso, procedendo cauto, terrorizzato dal rischio di rompermi una gamba.Le poggio la mano sulla spalla e cerco di sovrastare il rombo del mare gridando un “Ciao”. Non so cos’altro dire. Si volta e vedo nel suo sguardo una dolcezza e una tristezza che mi colpiscono. I suoi occhi scuri brillano attraverso le lenti e li trovo davvero belli...................................................
I nostri sguardi s’incontrano di nuovo, ma stavolta non vi leggo derisione, forse curiosità? Torno a guardare il mare fingendo indifferenza, aspettando che il cuore si calmi e la voce sia abbastanza ferma da rispondere senza tremare."Perché mi hai seguita?"“Perché sei scappata”dice semplicemente, mentre seduto accanto a me fissa il mare.Sorrido mio malgrado, nonostante l’emozione, vedendolo lì col vestito elgante e i piedi nudi, che stringe come una reliquia la borsa con il portatile, per paura che si bagni.“Che razza di giustificazione è? Segui tutti quelli che se ne vanno improvvisamente?” gli chiedo.“Mmm, non saprei, ma ho avuto voglia di raggiungere te”Dice e torna a guardarmi, mentre il mio stupido volto torna ad arrossire.“Mi chiamo Manuel”“Sofia” rispondo porgendogli la mano sudaticcia. Sembra non farci caso, la tiene stretta nella sua fissandomi come se fossi l’unica ragazza sulla terra.D’un tratto non mi sento più così ridicola, così bruttina, così terribilmente fuori luogo, specchiandomi in quel sorriso mi sento bella, bella come mai prima.
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Finalmente un po’ di frescura, il treno partirà alle 19:00 e ho mezza giornata da perdere, maledette prenotazioni on line, devo aver cliccato male il rientro ed ora sono in un hotel a bere un caffè senza saper cos’altro fare. Il mio telefono è scarico e non ho nemmeno per caricarlo, come si dice 'le disgrazie non vengono mai sole': mai in vita mia esco senza la sicurezza del caricabatteria, soprattutto se sono fuori per lavoro, mai tranne oggi, la giornata delle scocciature. Accendo il portatile, almeno posso lavorare un po’.Il bar è deserto, saranno tutti al mare a quest’ora, e pensare che il meteo dava pioggia, mai previsione è stata meno azzeccata: 35 gradi all’ombra e un sole che soffoca appena si mette il naso fuori.Ecco qualcuno, la porta a vetri si apre, ma non ho voglia di alzare la testa dal pc, di tavoli ce ne sono a bizzeffe, che non mi venissero a scocciare qui.Apro le mail. 64 messaggi non letti, 5 sono mail di Marta, sbuffo e le elimino senza leggerle. Che vada al diavolo, lei e il suo broncio per la vacanza rimandata, il lavoro è lavoro, non che mi sia divertito a venire fin qui a partecipare a questa riunione improvvisata. Mi sale un improvviso sorriso gongolante alle labbra pensando alle centinaia di chiamate che avrà fatto e alla rabbia nel sentire la segreteria telefonica. Dopotutto non tutti i mali vengono per nuocere.Sono stanco di lei, da troppo tempo, assuefatto ai suoi capricci infantili, al suo pretendere senza dare.Un impulso improvviso mi fa alzare lo sguardo, mi sento osservato.La ragazza al tavolo di fronte mi guarda attraverso lenti lievemente appannate di occhiali dalla spessa montatura, sorrido, è un po’ buffa e alquanto infantile nell’abbigliamento.Abbassa immediatamente lo sguardo e la vedo arrossire in un modo che pensavo esistesse solo nei cartoni animati.La osservo aspettando che alzi lo sguardo,divertito, ma lei non lo fa, sembra intenta nella lettura, osservo le sue mani che torcono il bordo di una pagina, stropicciandola. È deliziosamente in imbarazzo e continuo a sorridere divertito, dimenticando Marta, il cellulare scarico e il treno da attendere.
........................................................................Mi sono calmata abbastanza, provo ad alzare lo sguardo, piano, come per non far rumore. Nuova stilettata al cuore, lui è lì che mi fissa con quei suoi occhi blu e lo sguardo sornione. Mi prende in giro e io mi sento terribilmente inadeguata. Mi rituffo nel libro e aspetto di calmarmi.Non resisto più, sento il suo sguardo su di me e non so dove nascondermi, le orecchie continuano a fischiare. Decido che è l’ora di uscire prima che mi scoppi una coronaria. Afferro i libri alzandomi di scatto, alcuni cadono, li raccolgo frettolosamente. Quasi corro su quel tappeto rosso, troppo elegante per le mie scarpette di tela, incespico sul gradino mentre un muro d’aria bollente mi colpisce, facendomi mancare quella poca aria rimasta nei polmoni, mentre annaspo e continuo a camminare, fuggendo dai miei stessi pensieri.Mi fiondo sul primo autobus che mi passa davanti, ancora sconvolta per quel nonnulla, per quello che non potrà mai essere. Afferro la maniglia e mi ci aggrappo, come ad impedirmi di affogare, mentre inutili lacrime amare bruciano nei miei occhi e scendono nella gola.Il paesaggio si apre dopo una curva e lo vedo, è lì il mare, in tempesta come la mia anima. E come trasformato con il mio umore il tempo è mutato: grossi nuvoloni scuri, carichi di pioggia si vedono all’orizzonte. Chiamo la fermata e scendo, di nuovo corro, scappo via, faccio quel che so fare meglio: mi nascondo, evito di mettermi in gioco, innalzo la spessa corazza a difendermi dalle troppe delusioni. Mi siedo sugli scogli, mentre gli spruzzi salmastri si mescolano alle mie lacrime.Il mare. Potevamo esser destinati ad essere come le onde di questo mare inseguendoci e mescolandoci nel turbinio della passione, o cullandoci al ritmo lento del cuore calmo, la sera, invece tu rimani lì ignorando tutto di me, ridendo forse di quella goffa creatura che solo per un attimo ha incrociato la tua vita. Un attimo sì, che poteva racchiudere l’eternità. L’attimo in cui i miei occhi si sono persi nei tuoi, l’attimo in cui tutto poteva ancora essere. L’attimo del bivio, l’attimo in cui avresti ancora potuto alzarti e venire da me, avresti potuto sorridere, avresti potuto stringere la mia mano nella tua.Ora le lacrime non scendono più, il sole scalda la mia pelle, mentre la forte brezza marina l’accarezza. Un attimo sì, ma un solo attimo vissuto in un’emozione è meglio di mille attimi passati nel nulla.Sono rabbiosa contro il mio stesso essere, devo davvero finirla di scappare, sembra che nella vita non abbia saputo far altro.Il mare ruggisce, come in risposta ai miei pensieri, mentre sento una mano poggiarsi sulla spalla, alzo lo sguardo, attraverso le lenti appannate lo vedo appena: una sagoma sfocata, alta, elegante si china e si siede accanto a me. Spalanco la bocca, pulendo le lenti sulla gonna.“Ciao” dice semplicemente.La vita a volte è complicata, altre è semplice, come ora, arriva quel sorriso tanto atteso, arriva inaspettato, arriva entrando nella mia anima con l’impeto di quelle onde che rumoreggiano di sottofondo. ..........................................La guardo sorridendo, ma lei sembra offendersi, di scatto si alza, i libri rotolano sul pavimento, li raccatta, sembra sconvolta e infuriata. Cos’ho sbagliato? Perché si è offesa per uno sguardo?La guardo uscire di corsa allibito, mentre il cameriere si blocca con il bicchiere d’acqua traballante sul vassoio, anche lui stupito per quell’improvvisa furia.Esco, l’afa è quasi insopportabile e l’umidità preannuncia un imminente temporale estivo, certo, non poteva esser diversamente in una giornata come questa, ovviamente non ho l’ombrello.Un autobus sopraggiunge e all’ultimo momento la vedo salire. Perduta. Questo pensiero mi dà un assurdo senso di vuoto. M’incammino per la strada in discesa pensando che non potrò mai chiederle perché diavolo è scappata.Passa una panda sgangherata, intravedo il cappello del guidatore e il muso di un cagnetto spuntare dal finestrino, la lingua di fuori a prendere un po’ di aria.“Ehi, ehi!” grido.L’auto, che procedeva a passo di lumaca si ferma. Corro al finestrino:“Mi può dare un passaggio?”L’uomo mi guarda con sospetto, lo sguardo stretto, il volto abbronzatissimo, segnato da profonde rughe:“Monta!” dice solo.Salgo mentre l’uomo caccia il cane nel sedile posteriore.Il puzzo di cane e di cipolle mi assale, mischiato a quello di tabacco stantio di milioni di sigarette fumate senza arieggiare. Ringrazio il cielo che è estate e il finestrino spalancato, sghignazzo come uno scolaretto, al pensiero che il cane potesse sporgere il muso per il mio stesso motivo.“Dove?”Chiede il vecchio.“Eh?” non capisco che vuole.“Dove vai!” insiste lui e improvvisamente ricordo perché sono salito e mi sento un perfetto idiota:“Ehm, dovevo prendere quella corriera appena passata, sa dove va?”L’uomo mi fissa sempre più sospettoso, guarda lo sportello e penso che sta per farmi scendere.“C’è una ragazza sopra e devo … devo restituirle una cosa che ha perso in un bar” invento lì per lì.Non dice nulla, ma parte.La strada s’incurva pericolosamente in un tornante e vedo uno spettacolo mozzafiato: il mare, vicinissimo e burrascoso e all’orizzonte nuvoloni neri come pece, si iniziano a sentire i primi tuoni mentre sul vetro batte ancora forte il sole. Paesaggio surreale. Giungiamo ad un porticciolo, vedo la corriera molto più avanti che si inerpica già nella salita successiva, poi lo sguardo viene catturato da un’unica figura sul molo.“Eccola!” grido. L’uomo si ferma e io scendo al volo gracchiando un ringraziamento. Le scarpe eleganti scivolano sugli scogli bagnati. Mi fermo un istante a toglierle e a rimboccare i pantaloni. Lei è lì di schiena, seduta a contemplare il mare.‘Che razza di strana creatura’ penso, procedendo cauto, terrorizzato dal rischio di rompermi una gamba.Le poggio la mano sulla spalla e cerco di sovrastare il rombo del mare gridando un “Ciao”. Non so cos’altro dire. Si volta e vedo nel suo sguardo una dolcezza e una tristezza che mi colpiscono. I suoi occhi scuri brillano attraverso le lenti e li trovo davvero belli...................................................
I nostri sguardi s’incontrano di nuovo, ma stavolta non vi leggo derisione, forse curiosità? Torno a guardare il mare fingendo indifferenza, aspettando che il cuore si calmi e la voce sia abbastanza ferma da rispondere senza tremare."Perché mi hai seguita?"“Perché sei scappata”dice semplicemente, mentre seduto accanto a me fissa il mare.Sorrido mio malgrado, nonostante l’emozione, vedendolo lì col vestito elgante e i piedi nudi, che stringe come una reliquia la borsa con il portatile, per paura che si bagni.“Che razza di giustificazione è? Segui tutti quelli che se ne vanno improvvisamente?” gli chiedo.“Mmm, non saprei, ma ho avuto voglia di raggiungere te”Dice e torna a guardarmi, mentre il mio stupido volto torna ad arrossire.“Mi chiamo Manuel”“Sofia” rispondo porgendogli la mano sudaticcia. Sembra non farci caso, la tiene stretta nella sua fissandomi come se fossi l’unica ragazza sulla terra.D’un tratto non mi sento più così ridicola, così bruttina, così terribilmente fuori luogo, specchiandomi in quel sorriso mi sento bella, bella come mai prima.
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Sofia, splendido nome, non so perché mi incuriosisce questa sparuta ragazza, che sembra spuntata da un fumetto. Curiosità, mi dico, di solito le donne non scappano da me in quel modo.
Sorrido osservando la sua estrema timidezza e vederla qui, fragile e spaurita, mi fa sentire strano. Una parte di me vuole scappare veloce, senza voltarmi indietro, verso la sicurezza della mia esistenza, l'altra parte, sconosciuta e sorprendente, mi spinge a chiedere di più, a scoprire il perchè di questo assurdo senso di protezione che provo nei confronti di un'impacciata perfetta sconosciuta. Mi fa tenerezza e simpatia e guardandola bene, al di sotto degli occhiali, e del vestire scombinato, non sembra neanche così male. Mi siedo accanto a lei, scacciando l'idea di fuggire, prendendo tempo, d'altronde il treno è tra molte ore, ho tempo da sprecare.
"Vivi qui?" le chiedo a voce alta, per sovrastare il fragore del mare.
"No, ci studio, vivo in periferia a settanta chilometri di sperduta campagna" sorride, un sorriso davvero splendido, che mi attrae come una calamita verso le sue labbra piene, che lei continua a mordicchiare nervosa.
"Sofia" propongo, dopo eterni minuti passati in silenzio a rimirare il mare. "Passeggiamo?" indico sulla sinistra un tratto di spiaggia sabbioso, che curva fino a toccare ancora la scogliera rocciosa, uno stretto lembo chiaro tra le rocce. Lei mi fissa, sembra titubante, poi guarda la spiaggia e annuisce, senza fiatare. Le prendo la mano, aiutandola ad alzarsi. Mi sento catapultato in un altro mondo, lontano da computer e traffico, da riunioni e impegni lavorativi, perfino il telefono tace, senza linea, ma per una volta non me ne curo, ho voglia di passeggiare, possibilmente continuando a tenere la sua mano nella mia.
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