Il racconto deve rappresentare il mio modo di scrivere , per farmi conoscere e dare un'idea di quel che ci si può aspettare dal mio romanzo appena uscito.
Ora pubblicherò due incipit, due racconti, mi date parere su quale dei due vi piacerebbe veder continuato? Oppure nessuno dei due, così mi rimetto all'opera
:-)
INCIPIT 1
L’uomo ticchettava furiosamente sul suo portatile. Odiava la
parte burocratica del suo lavoro, odiava render conto a qualcuno, soprattutto
in forma scritta. Doveva muoversi se non voleva far tardi all’incontro, ma
Dinuli voleva quel rapporto subito e ormai sapeva quanto il capo non amasse
attendere. Occhi puntati sulla sua nuca lo stavano facendo impazzire da minuti,
sperava la smettesse, invece la novellina era più insistente delle altre.
Continuavano ad affibbiargli gente che lo innervosiva e
intralciava nel lavoro e questa zanzarina nuova di corso, fresca di laurea,
capelli lisciati di piastra e il tailleur blu troppo formale, gli pesava
particolarmente sullo stomaco.
“Falla finita” bofonchiò senza voltarsi.
“Prego?” chiese la ragazza con voce troppo debole per chi fa
questo lavoro.
“Ho detto di mollarmi, mi stai fissando da dieci minuti, non
hai nulla da fare? Perché non vai a casa?”
“Il signor Dinuli si è raccomandato che leggessi il suo
rapporto prima di consegnarglielo e di non lasciarla andar via se non era più
che decente, ha detto proprio così: ‘più che decente’”
Nick finalmente si girò a guardare la ragazza:
Era lì impalata, che si torceva le mani davanti al grembo, i
denti mordevano il labbro inferiore e un leggero rossore colorava il volto
minuto.
‘oh per l’amor del cielo’ pensò. Un’improvvisa ilarità lo
colse:
“E come vorresti impedirmi di andarmene esattamente?” chiese
alzando un sopracciglio castano dorato.
La donna arrossì ancora, violentemente, e balbettò:
“Beh, ecco, io pensavo fosse una frase fatta, non credevo
dovessi… ecco, spero di non dover… insomma, non dovrò mica trascinarlo vero?”
sembrava terrorizzata, Nick le dava al massimo un paio di giorni prima di
fuggire in lacrime nell’ufficio di Ben chiedendo le dimissioni o di essere
assegnata a qualcun altro.
Un sorriso beffardo comparve sul volto dell’agente.
“Ho finito” si alzò mentre la stampante si metteva in
funzione “Ho un appuntamento importante” afferrò la giacca “Fammi un fischio
quando hai finito di leggere” si diresse a grandi falcate verso la porta a
vetri e Laura guardò sparire la sua ombra, frustrata.
Prese i fogli dalla stampante e si mise a leggere con un
broncio di disappunto dipinto sul viso.
………….
“Nicholas Garret?” lo fermò una donna proprio appena uscito
dall’ascensore.
Le diede una rapida occhiata :una donna sulla quarantina,
dalla bellezza sofisticata di chi sa prendersi cura di se stesso e abiti
studiati per esaltare un corpo perfettamente scolpito. Gettò una fugace
occhiata alla sua auto sportiva, come a calcolare il tempo che gli ci sarebbe
voluto a recuperare il ritardo.
“Sì sono io, come conosce il mio nome?” chiese senza
convenevoli.
“Possiamo allontanarci un momento a parlare?”
Altra occhiata all’auto:
“Se è disposta a parlare mentre guido e a tornarsene con un
taxi, ho un appuntamento urgente” rispose tirando fuori il telecomando ed
azionandolo, disattivando l’allarme della sua porsche 911.
“Oh, sì, sì certo” rispose un po’ interdetta la donna, ma non
intenzionata a cedere.
“Si muova” la incitò brusco.
Il motore si avviò con un rombo potente e Garret fece
scattare il bolide incollando la schiena della donna al costoso sedile in
pelle.
Dopo qualche minuto, in cui l’uomo sfrecciava nel caotico
traffico della capitale e la donna stringeva spasmodicamente la borsetta in
pelle nera, lui ruppe il silenzio:
“Allora?”
“Oh, già ecco mi chiamo Susanna Marconi e avrei bisogno di
ingaggiarla”
Sogghignò: aveva già la storia davanti. Con una così c’erano
di mezzo corna e grossi patrimoni da intascare.
“Non scelgo io i casi, deve parlare con il proprietario della
Dinuli investigazioni”
“No, voglio proprio lei, so che è il migliore e la cosa è…
delicata, non vorrei pubblicità”
“Mi sta chiedendo di fare un lavoro extra? In nero?”
“Se la vuole mettere in questi termini sì, ma il compenso
sarà molto alto”
Garret tacque svoltando per una stradina incastonata tra
vecchie mura.
“È contromano!” gridò la donna aggrappandosi alla maniglia
della portiera con ambedue le mani, mentre la borsetta rotolava ai suoi piedi.
Nico stava valutando l’offerta, non era mai stato uno che
rispettava le regole, che stava negli schemi, che si faceva troppi problemi a
guadagnare sugli affarucci sporchi dei ricconi che si rivolgevano all’agenzia.
“Siamo arrivati” rispose pacatamente, inchiodando mentre una
fiat cinquecento, di vecchia data, strombazzava un insulto sbandando e finendo
su un piccolo marciapiede. “Scenda, chiami un taxi e mi contatti stasera a
questo numero”. Le porse un biglietto da visita, poi scese a gran velocità
dall’auto, mentre la donna tentava di chiedere: “Ma dove siamo? Non conosco la
zona!”
Nessuna risposta,
L’uomo parlava già con un tizio dall’apparenza poco raccomandabile. La donna scese
dall’auto traballando con i tacchi alti sui sanpietrini, mentre lui spingeva il
bottone per inserire l’allarme all’auto, dandole ormai le spalle.
“Gran maleducato!” gli gridò dietro la voce femminile, ma già
l’aveva dimenticata.
……………
Laura bussò titubante all’ufficio del signor Salvatore
Dinuli, sperò non gli chiedesse notizie del collega: aveva corretto di sua mano
i numerosi errori di battitura di Garret ed inserito varie parti mancanti,
dovendo scartabellare nei fascicoli che le erano vietati. Non sapeva nulla di
lui, pensò che gli errori fossero dovuti al fatto che non fosse Italiano, lo
supponeva dal nome, ma non ne era certa, si ripropose di indagare sul suo
conto, non appena Giovanni le avesse riparato il catorcio di computer che
giaceva derelitto da una settimana sulla scrivania del suo appartamento in via
Costantino Sabbati.
“Buongiorno, posso disturbarla?” chiese, cercando di sembrare
professionale.
“Oh, venga, venga pure signorina Paris”
“Ho qui il rapporto di Garret” poggiò delicatamente la
cartellina sulla scrivania e rimase in attesa.
Dinuli aprì il fascicolo e iniziò a leggere, Laura stava
immobile, i nervi tesi e le scarpe che le facevano un male del diavolo.
Era una settimana che lavorava lì, il suo primo impiego vero
dopo la laurea, ma non faceva che sentirsi fuori posto, Dinuli le era piaciuto
subito: un omone dalle spalle larghe e il sorriso altrettanto ampio, anche
Caterina la segretaria che non faceva che rispondere al telefono all’ingresso,
le aveva ispirato fiducia, dopo il colloquio era tornata a casa euforica, non
vedendo l’ora di entrare a far parte della famiglia, come le aveva detto il
capo salutandola. Poi aveva conosciuto i colleghi e grossi groppi alla gola
erano iniziati a comparire:
Per prima aveva conosciuto Betty, che di simpatico sembrava
avere solo il nome. Una donna dura, vestiva solo abiti maschili e allo stesso
modo portava capelli cortissimi, se ne era rimasta lì al computer senza alzare
mai lo sguardo a guardarla mentre Caterina la presentava, era stato così
imbarazzante, ma la segretaria aveva alzato le spalle come a dire ‘non ci
badare è fatta così’
Poi aveva conosciuto Sante, un ometto occhialuto con i
capelli unti e il golf di lana imbiancato dalla forfora, aveva stretto le mani
sudaticce con un timido sorriso, pensando che almeno sarebbe stato gentile. Ma lo
era stato anche troppo: tempestandola di inviti a cena e complimenti mielosi,
oltre a soffiarle un alito speziato di aglio e cipolla dritto in faccia
lasciandola letteralmente senza fiato. Poi era toccato a lui, Caterina aveva
aperto la porta con fare deciso esordendo:
“Ehi Nick ti presento una persona!” Laura si era rilassata
immaginando un tipo affabile, ma la sensazione era durata veramente il tempo di
un sospiro.
“Non mi dire che è un altro novellino che Dinuli mi vuole
propinare” alzò lo sguardo e la prima cosa che l’aveva inchiodata al pavimento
intimorita era quel sorriso beffardo e di ironica superiorità.
Aveva provato un’istintiva antipatia inquadrando il classico
belloccio borioso.
Prima che potesse presentarsi con fare più professionale
possibile, l’uomo l’aveva bloccata lasciandola interdetta:
“Oh, no, no, non ci credo, non dirmi che è questa ragazzina,
che fa li prende direttamente dall’asilo ora?” era scoppiato a ridere, mentre
Caterina la guardava imbarazzata e divertita al contempo, era palese che
adorava quel manichino pieno di sé.
Ed ora era lì a coprirgli le spalle mentre se ne era sparito,
come ogni sera, prima dell’orario lavorativo per spassarsela con una delle
infinite donne che popolavano la sua rubrica telefonica, ma non voleva certo
perdere l’impiego per i capricci di quell’irresponsabile, sapeva che lo voleva
più di ogni altra cosa e forsanche per questo si era decisa a non mollare… beh,
questo e il fatto che era in arretrato con l’affitto di due mensilità.
Dinuli alzò più volte il sopracciglio, mentre il suo volto
dalla carnagione scura accartocciava le guance in un sorrisetto.
“L’ha fatta lui?” chiese a bruciapelo
Laura strinse le mani a pugno:
“Certo signore” mentì spudoratamente e inevitabilmente si
maledisse iniziando a sentire il calore familiare irrorargli le guance. Iniziò
a muoversi sul posto, abbassando lo sguardo a fissarsi i piedi che iniziavano a
gonfiarsi vistosamente.
“Il sospettato è stato più volte individuato in via Garibaldi
51 ad intrattenersi con la sopracitata Loretta Marcelli ed è stato più volte
immortalato dal sottoscritto in pose inequivocabili…” la fissò scrutandola dopo
aver letto un pezzo “L’ha scritto Nick?”
“Ehm, sì certo” mentì un po’ più insicura
Dinuli poggiò il fascio di carte sulla scrivania. “Si sieda”
‘ecco ora mi licenzia, verrò a cercarti a casa maledetto
Nicholas Garret! ’ pensò furiosa Laura
“Ottimo lavoro” la stupì il capo. Lei deglutì stropicciando
la gonna con mani tremanti “ma d’ora in avanti se vuoi coprire quello sfaticato
ti conviene studiare il suo modo di scrivere i rapporti” sorrise benevolo e
Laura espirò rilassandosi vistosamente “Ora vada a casa che il suo orario di
lavoro è finito da un pezzo e non intendo pagarle gli straordinari per fare un
favore a quel figlio di buona donna!”
“Sì signore, certo signore”
“Oh, Signorina Paris?”
“Sì?”
“Non siamo in caserma, può chiamarmi Dinuli”
“Oh, mi scusi signor Dinuli, lo farò, a domani”
“A domani” scosse la testa indulgente, a laura sembrò di vedere
sul suo volto un’espressione gongolante. Si votò esasperata: un’idea malsana l’aveva
colpita: Dinuli la stava usando per stuzzicare il suo dipendente più
indisciplinato, che la considerava evidentemente una palla al piede?
…………………………………
INCIPIT 2
Correva cercando di non scivolare sui sampietrini bagnati di
pioggia.
“Taxi!” alzò la mano cercando inutilmente di fermare l’ennesimo
veicolo giallo, che sfrecciava schizzandola e alzando la mano mandandola a quel
paese.
“Maledizione!” imprecò quando sentì cedere l’alto tacco della
scarpa elegante. Afferrò il palo di un cartello stradale evitando di
precipitare e ringraziando i suoi riflessi pronti.
“Giornata di merda!” imprecò ancora, mentre una donna anziana
la fulminava con un’occhiataccia da sotto il suo enorme ombrello, poi si
allontanò scuotendo il capo.
“Che ha da guardare vecchia befana!” le urlò dietro, la donna
non si voltò ed accelerò il passo, sicuramente prendendola per una psicopatica.
“Bisogno d’aiuto bellezza?” un incravattato occhialuto
gentleman aveva deciso di distribuire il suo charme proprio ora, e questo la
mandò su tutte le furie
“E cosa te lo fa pensare scusa? Solo perché non ho un
ombrello e mi si è rotto un tacco pensi non sia in grado di andare dove diavolo
devo andare?”
Il sorriso morì sul volto dell’uomo che bofonchiò una scusa
allontanandosi.
“Giornata del cazzo, maledetto diluvio, maledetta città”
imprecò ancora avviandosi zoppicando, mentre la pioggia inzuppava il suo tailleur
e la sua acconciatura fresca di parrucchiere.
Arrivò trafelata al dipartimento. Un’ampia chiazza d’acqua si
andava formando ai suoi piedi nell’ascensore, mentre lei sistemava il trucco
colato specchiandosi. ‘che disastro’ pensò sistemando una ciocca scurita
dall’acqua dietro l’orecchio.
L’ascensore si aprì sulla fila di computer semideserti, erano
tutti in sala riunioni.
Odiava essere in ritardo, odiava essere in disordine, l’umore
si andava incupendo di momento in momento.
Cercò di sistemare la giacca, diede una lisciata alla gonna
scura e varcò la soglia.
“Oh ecco la Evans”
L’accolse il capo.
Sentì qualche occhiata indagatrice puntarsi su di lei,
fulminò i malcapitati con uno sguardo eloquente, gli occhi tornarono sui fogli
di appunti, mentre lei si accomodava accanto alla lavagna
“Prego, a te la parola”
In un attimo gettò alle spalle l’odiosa mattinata, lo sguardo
concentrato, la mente snebbiata.
“Come sapete si sono verificati una serie di omicidi nel
territorio di Chelsea, la squadra che se ne è occupata ha messo insieme dati
delle sette vittime, in apparenza nessun riscontro dall’incrocio dei dati: le
vittime sono differenti per età, sesso, condizione economica, inclinazione
sessuale, insomma per ogni aspetto che si a stato preso in considerazione.
Anche i luoghi sono distanti.” Pausa d’effetto, ormai sapeva come catturare
l’attenzione, era come un copione da seguire e lei era dannatamente brava ad
applicarlo.
“Allora perché questa riunione direte voi? Ovvio, perché
crediamo che il collegamento ci sia e dobbiamo scoprirlo al più presto, io per prima
ritengo che abbiamo a che fare con un serial killer, il marchio, il segnale
distintivo non è evidente come di solito ci si aspetta, ma la posizione dei
cadaveri è per tutti i casi la stessa. Nessuno lo aveva notato, prima che le
foto arrivassero in mano alla nostra Evans, che ha notato la stranezza.”
Il detective Evans mostrò sul grosso schermo foto di uomini e
donne, composti con un braccio piegato sotto la testa e l’altro infilato in
mezzo, di fianco, gamba sotto distesa, gamba sopra piegata, come a dormire
Mormorio sommesso degli agenti, che presagivano un aumento di
ore lavorative.
Si schiarì la voce, tornato il completo silenzio continuò:
“dicevo che dobbiamo scovare un serial killer, l’indagine passa in mano a me e la
mia squadra” altri mormorii di disappunto da parte della squadra di Morrison. Le
sembrava di sentirlo: ‘ogni volta che un caso si fa interessante ce lo soffiate!’
Sentiva nelle orecchie la sua voce stridula e piagnucolante, soppresse un
sorrisetto e continuò: “Ciò non significa che non rimanga una priorità: aumenteremo
il controllo e i turni di pattuglia nelle zone indicate” si girò e indicò i
puntini rossi sulla cartina proiettata “Qui, qui e qui, qualunque cosa
scopriate, qualunque sospetto, qualunque pulce che salti, dovete riferirla a me
in persona. Vi ho mandato via mail i nuovi turni e le zone da pattugliare,
domande?”
Samson alzò la mano, non ne fu sorpresa, la moglie aveva
appena partorito e un aumento di turni per lui sarebbe stato molto
difficoltoso, gli fece cenno di parlare
“Cosa esattamente cerchiamo, abbiamo un qualche identikit?
Una qualche descrizione?”
Sorrise apprezzando il fatto che non fossero le previste e
giustificate lamentele, l’energumeno nero era uno dei suoi agenti preferiti. “Ora
ci arriviamo Samson, ma vi anticipo che abbiamo davvero poco in mano”
Un improvviso aprirsi della porta distrasse tutti, lei
compresa, di solito non erano ammesse interruzioni e le porte venivano chiuse
dall’interno.
Amber Fissò irritata l’uomo con la barba mal rasata e il
collo della camicia abbottonato male, non indossava la divisa, d’altronde
conosceva tutti i poliziotti del dipartimento e lui non era tra questi, chi
diavolo era?
“Oh, Philip, vieni, vieni pure, ti aspettavo!” esordì Montgomery,
Amber rimase di sasso, il capo non chiamava mai nessuno per nome, spesso
giravano barzellette in cui chiama la moglie per cognome durante approcci di
carattere sessuale. Gli sguardi puntati e il silenzio degli altri mostrava
quanto ciò fosse suonato strano un po’ a tutti.
“Ragazzi” iniziò Montgomery stranamente di buonumore “Vi
presento Philip Dromp, agente operativo nella centrale da… beh da oggi, nonché
mio unico nipote”
“Salve gente” salutò molto poco professionalmente l’uomo,
mentre appendeva una giacca grondante di pioggia sullo schienale di una
seggiola, arrotolando subito le maniche della camicia, sbottonando il primo
bottone del colletto e mettendosi rumorosamente a sedere.
Amber vide guai in vista: l’uomo avrebbe dato una valanga di
problemi, fortuna la sua squadra era al completo, non la riguardava.
“Oh Evans, visto il bisogno di aiuto per questo caso, ho
messo Philip con la tua squadra, vedrai che sarà un prezioso aiuto”
Amber si morse l’interno della guancia per tenere a freno la
lingua, gli occhi di tutti puntati su di lei, si aspettavano una scenata. Prese
un lungo respiro.
“Preferirei parlarne in privato” disse, mentre guardava quel
Dromp fare l’occhiolino a Tess seduta al suo fianco. No, decisamente non
avrebbe permesso che un tale imbecille fosse inserito nella sua squadra.
……………………….
Pilip scrutava, con finta noncuranza, i presenti nella
stanza. Non era facile essere quello nuovo, non era facile essere il nipote del
capo, ma ormai aveva imparato a nasconder talmente bene l’imbarazzo dietro la
strafottenza, che aveva convinto anche se stesso che non gli importasse di
nulla fuor che del baseball e del cinema horror.
Quella poi era una massa di gente da seratina in relax, non
perché si rilassassero, ma perché erano le classiche persone che sfotteva
quando organizzava serate con gli amici: c’era il poliziotto che tirava a
campare per lo stipendio, sperando di non beccarsi una pallottola, di quelle
fatte bene, prima di andare in pensione, figli e moglie a carico e niente palle
per dire: io me ne vado a casa dalla mia famiglia.
Poi c’era il novellino, per giunta rosso di capelli, che non
faceva che prendere appunti, il gran capo borioso, con ascelle pezzate, nonché
suo amatissimo zio, ma ciò non contava, ed infine lei, la stronza di turno, la
donna in carriera col cuore di ghiaccio e lo sguardo tagliente. Ne aveva viste
fin troppe di quelle come lei, avrebbe scommesso ad occhi chiusi la sua storia:
prima del suo corso, poliziotto dal curriculum impeccabile, con un appartamento
costoso altrettanto impeccabile e inesorabilmente vuoto. Di quelle che dicono
di odiare i social network perché la sua lista di amici sarebbe vergognosamente
corta. Bella, bella da mozzare il fiato, ma di certo senza qualcuno che
sciogliesse quel ghiaccio che la ricopriva da testa a piedi.
Però la camicia bagnata faceva intravvedere un panorama
davvero meritevole, sogghignò, spostò lo sguardo su una brunetta del tutto
insipida, le fece comunque l’occhiolino, perché sembrava una che gradiva le
attenzioni.
……………………
“So che è tuo parente, non discuto che sia un ottimo agente, ma
no, non lo voglio, la mia squadra è al completo e funziona benissimo, perché
non lo metti con Maddon?”
“Perché la squadra a capo delle indagini è la vostra e un
serial killer è quel tipo di arresti che fa decollare le carriere e lui lo
merita, davvero”
Amber alzò un sopracciglio ad esprimere i suoi più convinti
dubbi, ma sapeva che era più saggio non esprimerli.
“potrebbero rompersi gli equilibri della squadra e con questa
pressione del serial killer non mi sembra proficuo”
“Non romperà nessun equilibrio, nella tua squadra tu comandi
e gli altri eseguono, non c’è parità, non ci sono fragili equilibri, verrà da
voi, questo è quanto”
Amber sbuffò, strinse i pugni e girò sui tacchi:
“Se combinerà pasticci verrò da te e li risolverai tu, e non
mi importa se mi metterai a far multe!” uscì sbattendo la porta a vetri che
tremò visibilmente nell’impatto.
“tu, con me e più tieni la bocca chiusa meglio sarà per
tutti” disse all’uomo che chiacchierava animatamente con Tess, la quale
continuava a sistemare i capelli dietro l’orecchio, con fare civettuolo.
“Ehi piacere!” si lamentò lui afferrando il casco e
seguendola. Amber odiava già quel sorrisetto compiaciuto e pieno di sé.
Samson sedeva alla scrivania sicuramente cercando notizie
sugli incidenti nella zona segnalata, mentre Vessali telefonava ai parenti
delle vittime per farli venire per un ulteriore interrogatorio.
Tess sgattaiolò veloce dietro di loro e si mise subito al
lavoro, sembrava davvero imbarazzata.
“allora ragazzi questo è Philip Dromp, il nipote del capo”
sottolineò con studiata enfasi la parentela, l’uomo non parve badarci.
L’interruppe, maleducato e inopportuno:
“Ciao, lavorerò con voi, dov’è la mia scrivania?”
Un secondo di glaciale imbarazzo, poi Samson si offrì di
chiamare chi se ne sarebbe occupato. Ognuno tornò al proprio lavoro, lei
compresa, mentre il nuovo arrivato prendeva una manciata di caramelle dalla
ciotola sulla sua scrivania e iniziava a scartare la prima.
“Sono per gli interrogati, per metterli a proprio agio, tu mi
sembra lo sia già fin troppo”
“Sotto interrogatorio? No, nessuno mi ha chiesto nulla a dire
il vero”
Vide un sorrisetto comparire sulle labbra di Vessali.
“Davvero spiritoso” replicò Amber senz’ombra di sorriso sulle
labbra tirate. Alzò gli occhi castano scuro e li tenne fermi sui suoi,
nocciola, per niente imbarazzati. Lo sguardo andò avanti come un tacito braccio
di ferro, fino a che Samson, da solo, entrò sollevando una scrivania tra le
enormi braccia.
Amber si riscosse e nonostante fosse riluttante a spostare
per prima lo sguardo, come fosse indice di debolezza, dovette dare direttive su
dove posizionare il tavolo.
“Lì Kosay” indicò all’uomo il punto più lontano da lei, in
fondo alla stanza, vicino al distributore dell’acqua e alla distruggi
documenti.
Io preferisco il primo, mi incuriosisce di più :)
RispondiEliminaGrazie mille!!! anche se ho appena saputo che deve esser lungo al max 5 pagine quindi... devo inventarne una terza... ma non sono così sintetica :-( sarà un arduo compito!!!!
RispondiEliminaTi capisco, ho il tuo stesso problema :)
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