Le conseguenze del non detto
I carabinieri arrivarono, quella stessa notte, ero terrorizzato e sconvolto, tu lì solo, con quelli che ti urlavano contro avevi sicuramente fatto il mio nome, ero fregato.
I miei genitori mi portarono in caserma, non vollero farmi salire sulla volante, come se volesse dire che ero un delinquente,’ infatti lo sono‘, continuavo a pensare.
Vidi Emma, seduta sulla panca, piangeva sommessamente, il braccio della madre attorno al collo. Di te nessuna traccia.
Ero pronto alla sua accusa, al suo disgusto, invece tra i singhiozzi disse solo: “grazie”
Il padre di Emma, e tuo, mi diede una pacca sulla spalla e disse guardandomi con occhi cerchiati di rosso:
“Emma mi ha raccontato che l’hai salvata, grazie, sei stato coraggioso”
“Io…io…” balbettai confuso.
“E Luca?” chiese mia madre finalmente.
“Luca ha sragionato, ha preso il coltello e… e…” cadde seduto singhiozzando tra le mani “L’ha ucciso!”
Mi sentii soffocare: era confermato, Carrisi era morto, ero stato io, allora perché Emma non mi accusava, perché lasciava che tu prendessi la colpa?”
“Lo scagioneranno, stava difendendo la sorella,avrà le… com’è che ha detto tuo zio al telefono? ATTENUATE” disse mia madre tirando fuori dalla borsetta un fazzoletto candido e porgendolo all’uomo distrutto dal dolore.
“Attenuanti mamma” corressi distrattamente.Fissavo intensamente Emma, cercando di capire, lei non alzava lo sguardo dalle mani, torcendole sulle ginocchia.
La madre si alzò per consolare il marito e io ne approfittai per sedermi accanto a lei.
“Grazie” disse ancora, prendendomi le mani, “Mio Dio, povero, povero Luca, non ho visto nulla per fortuna, ero terrorizzata, ho chiuso gli occhi per tutto il tempo, ma ho sentito come ringhiava e gridava, ha perso la testa perché… perché mi ama” sussurrò le parole tra un singhiozzo e l’altro. Volevo disperatamente dire qualcosa, ma in quell’attimo l’appuntato Demarchi entrò:
“Prima la ragazza” disse. Ed Emma entrò.
Ne uscì mezz’ora più tardi, i minuti erano passati lenti mentre la vergogna e il terrore cementavano il sangue nelle mie vene, impedendomi di pensare. Me ne stavo lì immobile, la testa svuotata, le orecchie ronzanti e lo stomaco stretto in una morsa dolorosa, le membra pesanti come piombo.
“Il ragazzo ora” vennero a chiamarmi, mentre Emma usciva seria, ma senza più piangere, tornando dai genitori.
Parlammo per un’altra mezzora, dissi esattamente com’era andata, tranne per l’ultimo pezzo, quello in cui avevo perso la testa e tu avevi tentato di fermarmi. Non ce la feci a mentire spudoratamente, mi limitai a dire che caddi e non vidi cosa successe poi. Col senno del poi accettarono fin troppo volentieri le versioni mie e di Emma, ma quella sera ne fui solo sollevato.
Aspettammo tutti nella sala d’aspetto, poi il maresciallo in persona venne fuori e chiamò tuo padre. Chiusero la porta.
“Non parla con nessuno, non confessa e non smentisce, urla come… come… lo internano” Uscì dopo poco esclamando l’uomo distrutto, le ultime parole furono storpiate dal pianto.
Era fatta, ero un delinquente, della peggior specie, mi alzai ed ebbi un capogiro, mi fecero bere e mi portarono a casa, mentre tu rimanevi lì intrappolato nell’infamia che io ti avevo gettato addosso. Internato, in manicomio, non ne saresti più uscito, forse era meglio la prigione.
Quella notte, come quasi tutte quelle a venire, non chiusi occhio, appena lo facevo vedevo te, sporco di sangue, il volto rigato di lacrime, che ti voltavi verso di me indicandomi e urlando il mio nome.
Tu, poco più che un ragazzino, il tuo bizzarro ingegno, la tua fanciullesca bontà, spazzate via da un gesto solo, il peggior gesto che esista, ed ero io l’artefice, ma non ero io che ne pagavo le conseguenze, pur portandone il macigno sulle spalle ancora troppo fragili per rendermi conto di come sarebbe stato indelebile quel peso.
Un vuoto rimane ora nella mia mente, un buco di interminabili giorni bui e cupi in cui non volevo alzarmi dal letto e mi trascinavo da un luogo all’altro senza più esistere.
Poi venne lei, ancora il destino giocava con le nostre vite, legate indissolubilmente.
La vidi sulla soglia di casa mia, pallida e dimagrita, ma sempre bellissima, si stringeva lo scialle sulle spalle.
“Devo parlarti” sussurrò, e lessi una tale disperazione nei suoi occhi, che non ebbi coraggio di chiedere nulla, mi feci da parte lasciandola entrare.
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