PRIGIONIA
Leila
non sapeva da quante ore fosse lì, aveva perso la cognizione del tempo e la
consapevolezza della sua fisicità. Si sentiva galleggiare nel nulla, in quel buio, silenzioso, mare di gomma nera.
Aprirono
la porta e lei fu accecata dalla luce che proveniva dal corridoio, le dissero
qualcosa e a lei sembrò strano sentire una voce umana, ringraziò il cielo
constatando che non aveva perso l’udito, doveva essere un’altra diavoleria in
uso in quella gabbia di matti. Provò uno strano senso di piacere nel contatto
umano, anche se con i suoi aguzzini, avrebbe voluto abbracciare la guardia, ma
non aveva più le forze per muoversi, la trascinarono letteralmente nella stanza
degli interrogatori.
Di
nuovo l’uomo con i baffi, sempre lui, iniziava a desiderare la conversazione.
La
fece sedere, sembrava molto più gentile, o era il suo desiderio di contatto
umano a farlo sembrare tale? Le offrì una tazza di tè caldo, che lei bevve
riconoscente. L’uomo iniziò: «Allora mi vuole dire il suo vero nome?»
Leila
continuava a tacere.
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