Inizia la terapia
“Hai davvero una pessima cera amico!” Il poliziotto lo fissava immobile, braccia conserte e sguardo beffardo.
Jonas si massaggiò le tempie e lo guardò ancora, perché non lo lasciavano in pace? “Fottiti” ringhiò cercando di strapparsi di dosso le mani sintetiche, che gli provocavano un forte ribrezzo.
“Non hai perso il tuo caratteraccio vedo” sorrise l’uomo baffuto, senza scomporsi. “Dottoressa Savini come sta? Ho saputo che fatica a far ragionare questa testa calda”
“Sto bene, porti i miei saluti a Martha”
L’uomo annuì sorridendo. Jonas scosse il capo, possibile che tutti sembravano conoscere tutti lì dentro, mentre lui continuava a rimanere nell’oblio? S’innervosì ancora di più.
“Nathan sta bene, fisicamente si è ripreso alla perfezione, è pronto per l’impianto. Solo, come le avranno detto, ha subito danni alla memoria a lungo termine” rispose la dottoressa e Jonas sentì accapponarsi la pelle a sentirsi chiamare per nome da lei, la fissò cercando di catturare un ricordo, che continuava a sfuggirgli.
“Maledizione!” si lasciò sfuggire il poliziotto “Speravo fossero pettegolezzi. E il chip?”
“Ne parliamo dopo con calma, ora è meglio che il detective inizi le cure”
“Amico, sai chi sono io? E lei?” Si era avvicinato al letto bisbigliando le parole, per non farsi udire dalla dottoressa.
“Crepa! Non sono amico tuo, né di quella lì, certo che lo so chi è: una fottuta dottoressa che vuole mettermi delle gambe meccaniche” alzò la voce, di nuovo furioso: “Sai dove puoi mettertele le gambe di ferro? Lo vuoi sapere? Se vuoi ti aiuto io!” gridò al di là della spalla dell’uomo, rivolto alla dottoressa.
L’uomo scosse il capo, poi puntò uno sguardo desolato in quello della donna, che lo sostenne come poteva, gli occhi lucidi di pianto. ‘Bella professionalità’ pensò disgustato.
“Ed ora fuori tutti, voglio dormire, toglietemi di dosso questi affari, il puzzo dei loro ingranaggi mi dà il voltastomaco!”
D’improvviso la dottoressa si riscosse, corrucciò lo sguardo, si avvicinò al paziente e gli afferrò il braccio bruscamente: “Ora tu vieni con me a fare i test, con le buone o con le cattive. Dovrai stare ancora a lungo qui dentro, vuoi che renda la tua permanenza un inferno? Oppure vuoi stare tranquillo, con un’infermiera umana a disposizione e trattamento di riguardo?”
Jonas la fissò, ancora una volta sentì smuovere qualcosa dentro alla vista di quegli occhi, la studiò alla ricerca della fregatura nascosta, lei sosteneva lo sguardo, sembrava decisa. Sospirò abbassando le spalle, arrendendosi:
“Ok, ok, facciamo questi dannati test in fretta”
Un lampo negli occhi scuri della donna gli fece venir voglia di ritrattare, ma ormai lo avevano spostato in una lettiga e già fluttuava nei corridoi. Si voltò indietro e vide che ancora l’uomo non lo mollava: lo seguiva parlando fitto, fitto con la Savini.
…………….
“Ancora una volta detective, sta andando benissimo” la voce stanca della dottoressa ripeteva per l’ennesima volta gli stessi incoraggiamenti.
Il poliziotto si era preso la testa tra le mani, stanco e frustrato quanto lui.
La dottoressa azionò il macchinario, i sensori sul capo s’illuminarono, la visiera si abbassò sul suo volto.
Il flusso scomposto d’immagini iniziò a comporsi nella sua mente. Ancora il volto scuro di un uomo, che moriva tra le sue braccia, ancora gli occhi scuri della dottoressa, il suo sorriso, le sue mani dalle dita affusolate e le unghie curate. Poi caldo, luce abbagliante, dolore lancinante e rumore di passi numerosi accanto alle sue orecchie, molti passi pesanti che gli passavano intorno senza rallentare. Il dolore aumentò esplodendogli nel cranio. Vide una casa, un mobile bar, tante bottiglie aperte, gambe di donna, nude sul divano, scarpe rosse buttate sul tappeto, il tacco vertiginoso attirò la sua attenzione. Poi buio improvviso, puzza di bruciato, gocciolio di tubature, ancora e ancora a martellare la sua mente devastata.
“Basta, ahhh” gridò ancora, non sostenendo più quella tortura, si strappò dalla testa i cavi. Un bip bip iniziò a suonare, mentre la dottoressa, con un sorriso stentato, si avvicinava ad aiutarlo a rimuovere l’apparecchiatura.
Il poliziotto fissava un monitor, si riscosse e batté il pugno sul tavolo: “Maledizione, sempre le stesse scene, è tutto perso, fottuto, volatilizzato!” si alzò.
“È solo l’inizio, ora iniziamo la terapia farmacologica, aiuterà e faremo sessioni qui giornalmente”
“N-non farò proprio un cazzo, voglio dormire!” si lamentò debolmente Jonas.
“Oh sì che lo farai, prenderai tutte le maledette medicine e farai gli esercizi, verrò ad accertarmene tutti i giorni! è ora che ti svegli Nathan, è in ballo la vita di”
“Ha detto abbastanza!” interruppe la dottoressa alzandosi bruscamente “Eravamo d’accordo: niente imbocchi, niente aiuti, possono solo nuocere” mentre parlava lo condusse fuori poggiando entrambe le mani sui suoi avambracci. L’omone si fece guidare senza lamentarsi, visibilmente abbattuto. Jonas fissò l’immagine bloccata sullo schermo per la prima volta sforzandosi seriamente di ricordare.
Jonas si massaggiò le tempie e lo guardò ancora, perché non lo lasciavano in pace? “Fottiti” ringhiò cercando di strapparsi di dosso le mani sintetiche, che gli provocavano un forte ribrezzo.
“Non hai perso il tuo caratteraccio vedo” sorrise l’uomo baffuto, senza scomporsi. “Dottoressa Savini come sta? Ho saputo che fatica a far ragionare questa testa calda”
“Sto bene, porti i miei saluti a Martha”
L’uomo annuì sorridendo. Jonas scosse il capo, possibile che tutti sembravano conoscere tutti lì dentro, mentre lui continuava a rimanere nell’oblio? S’innervosì ancora di più.
“Nathan sta bene, fisicamente si è ripreso alla perfezione, è pronto per l’impianto. Solo, come le avranno detto, ha subito danni alla memoria a lungo termine” rispose la dottoressa e Jonas sentì accapponarsi la pelle a sentirsi chiamare per nome da lei, la fissò cercando di catturare un ricordo, che continuava a sfuggirgli.
“Maledizione!” si lasciò sfuggire il poliziotto “Speravo fossero pettegolezzi. E il chip?”
“Ne parliamo dopo con calma, ora è meglio che il detective inizi le cure”
“Amico, sai chi sono io? E lei?” Si era avvicinato al letto bisbigliando le parole, per non farsi udire dalla dottoressa.
“Crepa! Non sono amico tuo, né di quella lì, certo che lo so chi è: una fottuta dottoressa che vuole mettermi delle gambe meccaniche” alzò la voce, di nuovo furioso: “Sai dove puoi mettertele le gambe di ferro? Lo vuoi sapere? Se vuoi ti aiuto io!” gridò al di là della spalla dell’uomo, rivolto alla dottoressa.
L’uomo scosse il capo, poi puntò uno sguardo desolato in quello della donna, che lo sostenne come poteva, gli occhi lucidi di pianto. ‘Bella professionalità’ pensò disgustato.
“Ed ora fuori tutti, voglio dormire, toglietemi di dosso questi affari, il puzzo dei loro ingranaggi mi dà il voltastomaco!”
D’improvviso la dottoressa si riscosse, corrucciò lo sguardo, si avvicinò al paziente e gli afferrò il braccio bruscamente: “Ora tu vieni con me a fare i test, con le buone o con le cattive. Dovrai stare ancora a lungo qui dentro, vuoi che renda la tua permanenza un inferno? Oppure vuoi stare tranquillo, con un’infermiera umana a disposizione e trattamento di riguardo?”
Jonas la fissò, ancora una volta sentì smuovere qualcosa dentro alla vista di quegli occhi, la studiò alla ricerca della fregatura nascosta, lei sosteneva lo sguardo, sembrava decisa. Sospirò abbassando le spalle, arrendendosi:
“Ok, ok, facciamo questi dannati test in fretta”
Un lampo negli occhi scuri della donna gli fece venir voglia di ritrattare, ma ormai lo avevano spostato in una lettiga e già fluttuava nei corridoi. Si voltò indietro e vide che ancora l’uomo non lo mollava: lo seguiva parlando fitto, fitto con la Savini.
…………….
“Ancora una volta detective, sta andando benissimo” la voce stanca della dottoressa ripeteva per l’ennesima volta gli stessi incoraggiamenti.
Il poliziotto si era preso la testa tra le mani, stanco e frustrato quanto lui.
La dottoressa azionò il macchinario, i sensori sul capo s’illuminarono, la visiera si abbassò sul suo volto.
Il flusso scomposto d’immagini iniziò a comporsi nella sua mente. Ancora il volto scuro di un uomo, che moriva tra le sue braccia, ancora gli occhi scuri della dottoressa, il suo sorriso, le sue mani dalle dita affusolate e le unghie curate. Poi caldo, luce abbagliante, dolore lancinante e rumore di passi numerosi accanto alle sue orecchie, molti passi pesanti che gli passavano intorno senza rallentare. Il dolore aumentò esplodendogli nel cranio. Vide una casa, un mobile bar, tante bottiglie aperte, gambe di donna, nude sul divano, scarpe rosse buttate sul tappeto, il tacco vertiginoso attirò la sua attenzione. Poi buio improvviso, puzza di bruciato, gocciolio di tubature, ancora e ancora a martellare la sua mente devastata.
“Basta, ahhh” gridò ancora, non sostenendo più quella tortura, si strappò dalla testa i cavi. Un bip bip iniziò a suonare, mentre la dottoressa, con un sorriso stentato, si avvicinava ad aiutarlo a rimuovere l’apparecchiatura.
Il poliziotto fissava un monitor, si riscosse e batté il pugno sul tavolo: “Maledizione, sempre le stesse scene, è tutto perso, fottuto, volatilizzato!” si alzò.
“È solo l’inizio, ora iniziamo la terapia farmacologica, aiuterà e faremo sessioni qui giornalmente”
“N-non farò proprio un cazzo, voglio dormire!” si lamentò debolmente Jonas.
“Oh sì che lo farai, prenderai tutte le maledette medicine e farai gli esercizi, verrò ad accertarmene tutti i giorni! è ora che ti svegli Nathan, è in ballo la vita di”
“Ha detto abbastanza!” interruppe la dottoressa alzandosi bruscamente “Eravamo d’accordo: niente imbocchi, niente aiuti, possono solo nuocere” mentre parlava lo condusse fuori poggiando entrambe le mani sui suoi avambracci. L’omone si fece guidare senza lamentarsi, visibilmente abbattuto. Jonas fissò l’immagine bloccata sullo schermo per la prima volta sforzandosi seriamente di ricordare.